Il signor Merton fu assai dolente del secondo aggiornamento delle nozze, e lady Giulia, che avea già ordinato l'abito nuziale, fece tutto il possibile per indurre Sibilla ad una rottura. Ma per quanto Sibilla amasse la madre, avea già fatto dono di tutta la propria vita accordando la mano a lord Arturo e nessuna insistenza di lady Giulia valse a rimuoverla dalla fede giurata. In quanto a lord Arturo, molti giorni gli ci vollero per riaversi dal crudele disinganno, e per qualche tempo ebbe a sperimentare un completo disordine nervoso. Prevalse nondimeno il solido buon senso di cui era dotato e la natura sana e pratica del carattere non molto a lungo lo tenne in forse sulla via da seguire. Visto che il veleno avea fallito il colpo, era bene ricorrere alla dinamite o ad altri esplodenti del genere. Riprese dunque ad esaminare la lista degli amici e dei parenti e, dopo matura ponderazione, deliberò di far saltare un suo zio, decano di Chichester. Il decano, uomo coltissimo e di vasta erudizione, avea la mania degli orologi. Possedeva una stupenda collezione di misuratori del tempo a partire dal secolo xv fino all'epoca corrente. Parve a lord Arturo che un simile originale gli offrisse un'occasione eccellente per menar a buon termine il piano concepito. La guida «London Directory» non gli forniva indizi al riguardo, né d'altra parte gli sembrava utile di rivolgersi per informazioni alla prefettura di polizia. A Scotland Yard, dove quell'ufficio ha sede, non si è informati delle gesta dei dinamitardi se non in seguito ad una esplosione avvenuta e constatata; senza dire che non se ne sa mai gran che. Gli sovvenne ad un tratto l'amico Ruvalow, giovane russo di tendenze ultrarivoluzionarie, incontrato l'inverno precedente in casa di lady Windermere. Il conte Ruvalow scriveva, a quanto affermavasi, una vita di Pietro il Grande. Era venuto in Inghilterra col pretesto di studiare i documenti relativi al soggiorno dello Zar in quel paese in qualità di calafato; ma, in generale, lo si riteneva per un emissario nichilista e l'Ambasciata russa di Londra lo guardava evidentemente di mal occhio. Lord Arturo pensò di aver trovato il fatto suo, e una mattina se n'andò a trovarlo in Bloomsbury Street per richiederlo di consiglio e di aiuto. «Sicché volete adesso occuparvi seriamente di politica», disse il conte Ruvalow, quando il visitatore gli ebbe esposto ogni cosa. Ma lord Arturo, che detestava le vanterie quali che fossero, stimò doveroso spiegargli che le questioni sociali non gli premevano punto e che l'esplodente gli bisognava per una faccenda personale di carattere puramente domestico. Il conte Ruvalow lo guardò stupito. Poi, vedendo che diceva sul serio, gli tracciò l'indirizzo sopra un pezzetto di carta, firmò con le iniziali, e lo porse a lord Arturo attraverso la tavola. «Scotland Yard pagherebbe una bella somma per conoscere questo indirizzo, mio caro amico». «Ma non l'avranno», esclamò lord Arturo dando in una risata. E stretta cordialmente la mano al giovane russo, scappò via più che di corsa, guardò alla carta e disse al cocchiere di condurlo a Soho Square. Qui lo congedò e seguì Greek Street fino alla piazza di Bayle's Court. Passò sotto il cavalcavia e si trovò in un curioso angiporto che pareva occupato da una lavanderia francese. Da una casa all'altra una rete di corde tendevasi, carica di biancheria, e nell'aria del mattino v'era un ondeggiamento di lini bianchi. Lord Arturo andò fino in fondo e bussò ad una porticina verde. Dopo un certo tempo, durante il quale tutte le finestre si popolarono di teste che apparivano e sparivano, la porta si aprì, e un uomo dall'aspetto burbero domandò in pessimo inglese che cosa si volesse. Lord Arturo gli porse la carta del conte Ruvalow. Immediatamente, l'uomo s'inchinò e pregò il visitatore di passare in una cameretta a terreno. Pochi momenti dopo, Herr Winckelkopf, come lo si chiamava, entrò frettoloso, con al collo un tovagliolo macchiato di vino e una forchetta nella mano sinistra. «Il conte Ruvalow», disse lord Arturo inchinandosi, «m'ha fatto per voi una commendatizia, e a me preme molto intrattenermi con voi d'una mia faccenda. Il mio nome è Smith... Roberto Smith, ed ho bisogno che mi forniate un orologio esplodente». «Lietissimo della vostra visita, lord Arturo», rispose il malizioso piccolo tedesco, con uno scoppio d'ilarità. «Non mi guardate con cotest'aria smarrita. È mio dovere conoscer la gente, e mi ricordo bene avervi visto una sera da lady Windermere. Spero che Sua Grazia goda buona salute. Volete prender posto accanto a me, fino che finisco di far colazione? Ho un pasticcio eccellente, e i miei amici hanno la bontà di dire che il mio vino del Reno è migliore di tutti quelli che servono all'Ambasciata tedesca». E prima che l'altro si riavesse dalla sorpresa di essere stato riconosciuto, era già bell'e seduto a tavola, e sorseggiando il più delizioso Marcobrunner in una coppa gialletta segnata col monogramma imperiale, chiacchierava alla buona e all'amichevole col raccomandato del famoso cospiratore. «Gli orologi esplodenti», disse Herr Winckelkopf, «non sono articoli adatti all'esportazione, quand'anche si riesca ad eludere la vigilanza doganale. Il servizio ferroviario è così irregolare che, ordinariamente, le macchine esplodono prima di arrivare a destinazione. Se però voi ne avete bisogno per uso, diciamo così, interno, sono in grado di fornirvi un articolo eccellente con perfetta garenzia di riuscita. Potrei sapere a che scopo vi serve? Se si tratta della polizia o di qualcuno più o meno attinente a Scotland Yard, non potrei pur troppo far niente per voi. I poliziotti inglesi son davvero i nostri migliori amici. Ho sempre constatato che in virtù della loro stupidaggine, noi possiamo fare assolutamente tutto ciò che ci piace; non vorrei per nulla al mondo torcere un capello a uno solo di loro». «Vi assicuro», disse lord Arturo, «che la polizia non ci ha che vedere. Il movimento di orologeria è destinato, se volete saperlo, al decano di Chichester». «Oh, oh! non vi sapevo così spinto in materia religiosa! I giovani d'oggi non si scaldano mica per queste cose». «Credo che mi stimiate più ch'io non meriti, Herr Winckelkopf», protestò lord Arturo arrossendo. «Il vero è ch'io sono affatto ignaro di teologia». «È dunque una faccenda strettamente personale». «Proprio così». Herr Winckelkopf scrollò le spalle e si allontanò. Quattro minuti dopo, riapparve con un dischetto di dinamite non più grosso di un penny e un grazioso orologetto francese sormontato da una figurina della Libertà calpestante l'idra del Dispotismo. Il viso di lord Arturo s'illuminò. «Ecco per l'appunto il fatto mio. Vogliate spiegarmi ora come avviene l'esplosione». «Ah! questo è il mio segreto», rispose Herr Winckelkopf contemplando la sua invenzione con giusto orgoglio. «Ditemi solo quando volete che esploda ed io regolerò il meccanismo per l'ora indicata». «Benissimo! Oggi è martedì, e se siete in grado di spedirlo subito...». «Impossibile. Ho un diluvio di lavori, una faccenda importantissima per certi amici di Mosca». «Oh, faremo a tempo anche per domani sera o giovedì mattina. In quanto al momento dell'esplosione, fissiamolo al mezzogiorno di venerdì. A quell'ora, il decano è sempre a casa». «Venerdì a mezzogiorno», ripeté Herr Winckelkopf. E ne prese appunto in un gran registro posto sulla scrivania accanto al camino. «Ed ora», disse lord Arturo alzandosi, «amerei sapere di quanto vi son debitore». «È una bagatella. La dinamite costa sette scellini e sei pence, il meccanismo tre sterline e dieci scellini e il trasporto circa cinque scellini. Son troppo lieto di far cosa grata a un amico del conte Ruvalow». «Ma il vostro fastidio, Herr Winckelkopf?». «Oh, non ne parliamo, vi prego. Io non lavoro pel danaro; vivo intieramente per l'arte mia». Lord Arturo depose quattro sterline, due scellini e sei pence sulla tavola, ringraziò il piccolo tedesco e, scusandosi alla meglio nel rifiutare un invito ad una colazione pel sabato seguente dove gli si offriva di far la conoscenza di alcuni anarchici, lasciò la casa di Herr Winckelkopf e si avviò al Park. Nei due giorni seguenti, lord Arturo fu in uno stato di enorme nervosità. Il venerdì, a mezzogiorno, andò al Buckingham club per attendervi le notizie. Tutto il pomeriggio, lo stupido cameriere di servizio alla corrispondenza portò dispacci di tutti gli angoli del paese, risultati di corse, sentenze in cause di divorzio, stato della temperatura e simili, mentre la striscia telegrafica andava svolgendo i più fastidiosi dettagli sulla tornata notturna della Camera dei Comuni e sopra un piccolo panico allo Stock Exchange, dove ha sede la Borsa di Londra. Alle quattro, arrivarono i giornali della sera e lord Arturo disparve nella sala di lettura con la «Pall Mall Gazette», la «St. James's Gazette», il «Globe» e l'«Echo», facendo così arrabbiare il colonnello Goodchild smanioso di leggere il resoconto d'un discorso da lui pronunciato la mattina in presenza del lord-maire, a proposito delle missioni nel sud Africa e della opportunità di avere, in ogni provincia, dei vescovi negri. Ora, il colonnello, per un motivo o per l'altro, aveva un pregiudizio assai pronunciato contro le «Evening News». Nessun giornale però conteneva la minima allusione a Chichester e lord Arturo capì che l'attentato era fallito. Il colpo era terribile, e per un certo tempo parve lo avesse annichilito. Herr Winckelkopf, dal quale egli corse il giorno appresso, escogitò e mise avanti mille scuse tortuose, offrendosi di fornire a proprie spese un altro orologio ovvero una cassetta di bombe di nitroglicerina a prezzo di costo. Ma lord Arturo avea perduto ogni fede negli esplodenti, e dal canto suo Herr Winckelkopf riconobbe la sofisticazione della merce essere oggi così frequente che è difficile perfino avere della dinamite non adulterata. Nondimeno, pure ammettendo che il movimento di orologeria potesse aver qualche piccola magagna, il tedesco sperava sempre che lo scoppio, prima o dopo, potesse avvenire. Citava a sostegno della tesi il caso d'un barometro, mandato da lui una volta al governatore militare di Odessa, e regolato in modo da esplodere il decimo giorno. Per tre anni di fila il barometro non si mosse. Era vero altresì, che quando poi scoppiò, non riuscì che a ridurre in polenta una fantesca, visto che il governatore avea lasciato la città sei settimane prima; ma almeno il fatto provava che la dinamite, come forza distruttiva, regolata da un movimento di orologeria, era un agente efficace benché alquanto inesatto. La riflessione poteva, fino ad un certo punto, esser consolante, ma lord Arturo era pur troppo destinato ad un altro disinganno. Due giorni dopo, nel salir le scale, la duchessa madre lo chiamò in camera di toletta e gli mostrò una lettera testé ricevuta da Chichester. «Jane mi scrive delle lettere graziosissime», gli disse; «dovresti legger quest'ultima: è interessante come i romanzi che ci manda Mudie». Lord Arturo si affrettò a prender la lettera. Eccone il contenuto: Chichester, 27 maggio Carissima zia, grazie molte della flanella per la società Dorcas e anche della tela. Son perfettamente d'accordo con voi nel ritenere assurdo il loro bisogno d'indossar bella roba, ma oggimai la gente è così radicale ed empia che non si riesce a farle intendere la sconvenienza di avere i gusti e l'eleganza delle classi superiori. Non so davvero dove si va! Come spesso ripete il babbo nei suoi sermoni, noi viviamo in un secolo d'incredulità. Abbiamo avuto una graziosa storiella a proposito d'un orologetto spedito giovedì scorso al babbo da un ignoto ammiratore. È arrivato da Londra, trasporto pagato, in una scatola di legno, e il babbo crede gli sia stato mandato da qualche lettore del suo importantissimo sermone: La libertà è forse licenza? perché l'orologio ha in cima una figura femminile con in capo un berretto così detto frigio. A me la cosa non sembra troppo conveniente, ma il babbo dice che è storica. In tal caso, non c'è niente da ridire. Parker ha aperto la scatola e il babbo ha collocato l'oggetto sul camino della biblioteca. Eravamo tutti raccolti in quella sala venerdì mattina, quando, nel punto preciso del mezzogiorno, udimmo come un frullar di ali; un piccolo sbuffo di fumo uscì dal piedistallo della figura e la Dea della libertà cadde e si ruppe il naso sul parafuoco. Maria era tutta sossopra, ma l'incidente era davvero così ridicolo che James ed io ne ridemmo di cuore, e il babbo con noi. Esaminato l'orologio, abbiamo scoperto che era una specie di sveglia, e che situando l'indice sopra un'ora determinata e mettendo un po' di polvere e una capsula di fulminato sotto un martellino, si determinava lo scoppio a volontà. Il babbo ha detto che l'orologio era troppo rumoroso per una biblioteca. Reggie se l'è portato alla scuola, e là, da mattina a sera, la macchina non fa che produrre delle piccole esplosioni. Credete voi che ad Arturo piacerebbe un regalo di nozze di questo genere? Mi figuro che a Londra questi gingilli abbiano ad essere in gran voga. Il babbo dice che questi orologi hanno una finalità morale, poiché mostrano che la libertà non è durevole e che il suo regno deve finire con una caduta. La libertà, dice il babbo, fu inventata al tempo della rivoluzione francese. È una cosa spaventevole. Andrò or ora dai Dorcas e leggerò loro la vostra lettera così istruttiva. Com'è giusta la vostra idea, cara zia, che nella condizione loro essi vorrebbero vestire in modo affatto sconveniente. La passione loro pei vestiti è infatti assurda, quando si pensi che tanti altri pensieri gravi hanno in questo mondo e nell'altro. Son tanto contenta che la lanetta fiorata vi stia bene e che il merletto non sia lacero. Mercoledì porterò dal vescovo il raso giallo che aveste il gentile pensiero di regalarmi e credo che farà un effetto bellissimo. Avete dei nodi o no? Jennings dice che tutti adesso portano dei nodi e che le camicette si fanno con la gala. Reggie ha avuto una novella esplosione. Il babbo ha ordinato di trasportare l'orologio nella scuderia. Non credo che l'apprezzi più come al primo momento, benché sia molto lusingato di aver ricevuto un dono così ingegnoso. Ciò prova che i suoi sermoni son letti e fanno profitto. Tutti vi salutano, il babbo, James, Reggie, Maria, e si augurano che lo zio Cecilio vada meglio con la sua gotta. Credetemi, cara zia, vostra affezionatissima nipote Jane Peccy P.S. Rispondetemi pei nodi. Jennings si ostina a dire che sono in moda. Lord Arturo guardò la lettera con una cera così seria e malinconica che la duchessa proruppe in una risata. «Caro il mio Arturo», esclamò poi «non ti mostrerò mai più una lettera di ragazza... Ma che ne pensi di quell'orologio? Mi pare una curiosa invenzione, e mi piacerebbe di averne uno simile». «Non ho fiducia in cotesti orologi», disse lord Arturo con un triste sorriso. E, abbracciata la mamma, si allontanò. Rimontato in camera propria, si gettò sopra una poltrona e si sentì gli occhi gonfi di lagrime. Avea fatto di tutto per commettere l'assassinio, e due volte gli era fallito il colpo. Avea tentato di compiere un dovere, ma il destino lo tradiva. Era oppresso ora dalla coscienza che qualunque sforzo per fare il bene può esser vano, che le buone intenzioni sono spesso sterili. E non valea forse meglio rompere il matrimonio? Sibilla, certo, ne avrebbe sofferto; ma la sofferenza non rovina un carattere nobile come il suo. Quanto a sé, che gl'importava! C'è sempre una qualche guerra, dove un uomo può farsi ammazzare, una causa cui immolarsi. Se la vita non gli sorrideva, la morte non gl'incuteva alcun terrore. Facesse di lui il fato quel che più gli talentava! Nulla avrebbe fatto per scongiurarlo. Dopo le sette e mezzo, si vestì e andò al circolo. Vi trovò Surbiton con una brigata di giovanotti, e fu obbligato a pranzar con loro. La conversazione superficiale, i motti vani non lo interessavano punto. Servito che fu il caffè, li lasciò, col pretesto di un convegno cui non poteva mancare. Uscendo dal circolo, il cameriere di servizio gli dié una lettera. Era di Herr Winckelkopf, che lo invitava pel giorno appresso a vedere un ombrello che esplodeva nell'atto stesso di aprirlo. Era la recentissima delle invenzioni. L'ombrello arrivava da Ginevra. Lord Arturo strappò il foglio in tanti minuzzoli. Era deciso a non ricorrere a nuovi tentativi. Se n'andò poi a passeggiare lungo la banchina del Tamigi e per ore ed ore se ne stette a sedere accanto al fiume. La luna apparve attraverso un velo di nuvole fulve, come un occhio ferino dietro una giubba di leone. L'abisso dei cieli scintillò di stelle innumerevoli, simili al pulviscolo d'oro sparso sopra una cupola di porpora. A momenti, una barca dondolavasi sul fiume limaccioso e filava lungo la corrente. I segnali verdi della ferrovia diventavano rossi, via via che i treni traversavano il ponte mandando sibili acuti. Un po' più tardi, dalla torricella di Westminster caddero i rintocchi grevi della mezzanotte, e ad ogni colpo della sonora campana, parve che la notte tremasse. Poi, i lumi della ferrovia si spensero. Una lampada solitaria seguitò a brillare come un gran rubino sopra un'antenna gigantesca e lo strepito della città sprofondò nel silenzio. Alle due, lord Arturo si alzò, e andò a gironzare verso Blackfrias. Come ogni cosa gli appariva non reale, quasi immagine di uno strano sogno! Di là dal fiume, le case pareano immerse nelle tenebre. Si sarebbe detto che l'argenteo chiarore e l'ombra avessero rimodellato a nuovo il mondo. La cupola enorme di San Paolo spiccava come una bolla attraverso l'atmosfera nereggiante. Avvicinandosi alla stella di Cleopatra, lord Arturo vide un uomo curvo sul parapetto; e fattosi più dappresso, alla luce del lampione sovrapposto, lo riconobbe. Era il signor Podgers. Nessuno avrebbe mai potuto dimenticare la faccia grassa e floscia, gli occhiali d'oro, il sorriso malaticcio, la bocca sensuale del chiromante. Lord Arturo si fermò. Un'idea gli lampeggiò improvvisa. Cauto, furtivo, si accostò al signor Podgers. In men che non si dica, lo agguantò per le gambe e lo precipitò a capofitto nel Tamigi. Una violenta bestemmia, un tonfo, uno spruzzo fangoso, e non altro. Lord Arturo guardò ansioso alla superficie del fiume, ma non poté altro vedere del chiromante che il cappello vorticosamente aggirato nell'acqua inargentata dalla luna. Di lì a qualche minuto, anche il cappello affondò, né altre tracce del signor Podgers furono visibili. Un momento, parve a lord Arturo di scorgere un'ombra informe che slanciavasi sulla scaletta attaccata al ponte, e un orrendo senso d'insuccesso lo prese. Ma subito dopo l'immagine si precisò e, quando la luna riapparve di dietro alle nuvole, scomparve alla fine. Gli sembrò allora di aver compiuto i decreti del fato. Trasse un profondo sospiro di sollievo e il nome di Sibilla gli montò alle labbra. «Vi è cascata in acqua qualche cosa, signore?» gli suonò dietro una voce improvvisa. Si voltò di botto e vide un policeman con una lanterna cieca. «Una cosa da nulla, sergente», rispose sorridendo. E, chiamata una vettura di passaggio, vi balzò dentro e ordinò al cocchiere di condurlo a Belgrave Square. Nei pochi giorni che seguirono fu a volta a volta allegro e perplesso. A momenti, si aspettava di vedersi entrare in camera il signor Podgers; a momenti, sentiva che la fortuna non poteva essergli così nemica ed ingiusta. Due volte andò all'indirizzo del chiromante, a West Moon, ma non gli dié l'animo di tirare il campanello. Si struggeva di aver la sicurezza e la paventava. Alla fine, questa arrivò. Se ne stava egli a sedere nel fumatoio del circolo. Sorseggiava del tè, ascoltando un po' seccato il resoconto di Surbiton sull'ultima operetta della Gaîté, quando un cameriere portò i giornali della sera. Lord Arturo prese la «St. James's Gazette» e si dié a spiegazzarla con mano distratta, quando un titolo strano lo colpì. SUICIDIO DI UN CHIROMANTE Divenne pallido dall'emozione e lesse. La notizia era così concepita: Ieri mattina alle 7, il corpo del signor Septimus R. Podgers, il celebre chiromante, fu rigettato sulla riva a Greenwich dirimpetto allo Ship Hotel. Il disgraziato era scomparso da alcuni giorni e il mondo chiromantico era agitato non poco a suo riguardo. Si suppone che si sia ucciso per un momentaneo disordine delle facoltà mentali originato da soverchio lavoro, e in questo senso il giurì del coroner si è oggi stesso pronunciato nel suo verdetto. Il signor Podgers avea testé compiuto un trattato intorno alla mano. L'opera è di imminente pubblicazione e solleverà certo molta curiosità. Il defunto avea 65 anni e pare che non lasci famiglia. Lord Arturo scappò via dal circolo, con in mano il giornale, con grande stupore del portinaio che tentò invano di fermarlo. Corse difilato a Park Lane. Sibilla, che era alla finestra, lo vide venire e indovinò che era apportatore di buone notizie. Gli volò incontro, lo guardò in viso, capì che tutto andava d'incanto. «Cara Sibilla», esclamò lord Arturo, «sposiamoci domani!». «Pazzo che sei! E la torta nuziale che non s'è nemmeno ordinata?» replicò Sibilla ridendo fra le lagrime. |