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Jane Eyre.  Charlotte Brontë
Capitolo 37.
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La villa di Ferndean era una vecchia costruzione, non molto alta e senza pretensioni architettoniche, posta in mezzo ai boschi.

Il signor Rochester ne parlava spesso e qualche volta vi andava.

Suo padre aveva comprato quella tenuta per le belle rocce che vi erano annesse, e il figlio l'avrebbe affittata volentieri, se avesse trovato, ma nessuno la voleva perché l'aria era cattiva.

Ferndean non era dunque né abitata, né mobiliata, ad eccezione di poche stanze preparate per ricevere il padrone al tempo delle caccie.

Giunsi un poco prima di sera; il cielo era triste, il vento freddo ed ero bagnata da una pioggia continua.

Feci a piedi l'ultimo miglio dopo aver rimandato il carrozzino.

La villa non si vedeva, benché fosse vicinissima, tanto erano folti i boschi che la circondavano.

Cancelli di ferro, posti per pilastri di granito, indicavano l'ingresso.

Dopo averli oltrepassati, mi trovai in una mezza oscurità prodotta da una doppia fila di alberi.

Fra i tronchi nodosi si stendeva un sentiero erboso che costeggiava il bosco.

Lo seguii sperando che mi avrebbe condotto alla villa, ma continuava sempre e non si vedevano né prati, né case.

Supposi di avere sbagliato direzione e di essermi smarrita e guardai intorno a me per cercare un'altra via; non ve n'era alcuna.

Andai avanti e alla fine la via si allargò, gli alberi si fecero meno fitti.

Presto scorsi una cancellata, poi una casa.

L'oscurità impediva quasi di distinguerla dagli alberi, tanto le mura erano scure, umide e verdastre.

Passai il cancello che era chiuso soltanto da un chiavistello e mi trovai in mezzo a prati, circondati d'alberi, piantati in semicerchio davanti alla casa.

Non vi erano fiori, ma soltanto un gran viale che conduceva al centro del bosco.

La casa, vista di faccia, aveva due torrette nel centro; le finestre erano strette e munite d'inferriate, la porta era pure angusta e vi si saliva con uno scalino.

Era proprio, come aveva detto l'oste, un luogo desolato e silenzioso come una tomba.

Il rumore della pioggia che batteva sulle foglie era il solo rumore che si udisse.

— Ci può essere vita qui? — domandai.

Sì, vi era una specie di vita, perché udii un rumore, l'angusta porta si aprì lentamente e una figura comparve su quella.

Era un uomo, senza cappello, e stese la mano come per sentire se piovesse.

Nonostante l'oscurità lo riconobbi: era il mio padrone, Edoardo Rochester.

Mi fermai, trattenni il respiro e mi diedi a esaminarlo senza essere veduta, ahimè! senza poterlo essere.

Quell'incontro improvviso e l'ebrezza erano amareggiati dalla vista di lui.

Non dovetti far forza a me stessa per trattenere la voce e il passo.

La figura era egualmente vigorosa, il portamento eretto e i capelli neri; neppure i suoi tratti erano abbattuti.

Un anno di dolore non aveva potuto distruggere la forza atletica né la vigorosa giovinezza del signor Rochester; ma quale cambiamento nell'espressione!

II suo volto disperato e irrequieto mi fece pensare agli uccelli da preda, che sono così pericolosi per chi li avvicina quando manca loro la libertà.

L'aquila imprigionata, cui una mano crudele ha tolto gli occhi cerchiati d'oro, doveva somigliare a quel Sansone cieco.

Credete forse che mi sgomentassi della sua ferocia? Se lo pensate, non mi conoscete.

Cullavo il mio dolore nella dolce speranza di deporre presto un bacio su quelle pupille chiuse, ma il momento non era giunto per avvicinarmi a lui.

Scese il gradino e avanzò lentamente esitando verso il prato.

Che cosa n'era della sua andatura così ardita? Si fermò, non sapendo da qual lato volgere, stese la mano, sollevò le palpebre, guardò intorno a sé e facendo uno sforzo diresse gli occhi verso gli alberi e il cielo. Mi accorsi bene che tutto era per lui oscurità.

Alzò la mano destra (la sinistra, quella mutilata, la teneva sempre nascosta in seno) pareva che volesse toccare e capir dal tatto dove si trovava; ma la mano incontrò il vuoto, ed egli rinunziando agli sforzi, rimase ritto, muto sotto la pioggia che gli cadeva con violenza sulla testa.

In quel momento John gli si avvicinò.

— Volete prendere il mio braccio, signore? Piove forte e fareste meglio a tornare in casa.

— Lasciatemi, — rispose.

John si allontanò senza avermi veduta; il signor Rochester tentò invano di camminare; tutto era troppo incerto per lui, e tornò indietro, ritrovò la porta di casa e la chiuse.

Allora mi avvicinai e bussai. La moglie di John venne ad aprirmi.

— Buona sera, Maria, — dissi. — Come state?

Ella si scosse come se avesse veduto un'apparizione; e quando mi domandò: "Siete proprio voi, signorina, che venite a quest'ora in questo luogo deserto?",la tranquillizzai prendendola per la mano, e la seguii in cucina, dove John era seduto accanto al fuoco.

In poche parole spiegai loro che avevo saputo tutto quello che era avvenuto a Thornfield ed ero venuta a vedere il signor Rochester.

Pregai John di andare fino alla dogana, dove avevo lasciato la carrozza e avevo consegnato il baule, e di prenderlo.

Quando mi fui tolto il cappello e lo scialle, domandai a Maria se potevo passare una notte in casa.

Vedendo che era possibile, benché difficile, dissi che vi sarei rimasta.

In quel momento si udì squillare un campanello in salotto.

— Quando entrate, annunziate al vostro padrone che c'è qualcuno che vuol parlargli, ma non gli dite il mio nome.

— Non credo che vorrà ricevervi; chiude la porta a tutti.

Quando Maria tornò, le domandai che cosa aveva risposto il signor Rochester.

— Egli desidera sapere il vostro nome e che cosa volete.

Mentre mi rispondeva così, Maria empiva di acqua un bicchiere e lo poneva su un vassoio insieme con due candelieri.

— È per aver il lume che ha suonato?

— Sì, benché sia cieco, non vuole stare al buio la sera.

— Datemi il vassoio, lo porterò io.

Glielo presi di mano e mi feci indicare la porta del salotto.

Il vassoio mi tremava fra le mani e l'acqua si versò in parte. Anche il cuore mi batteva forte.

Maria aprì la porta del salotto e la richiuse.

Il salotto era triste; il fuoco si spegneva nel caminetto antico, al quale il cieco teneva appoggiata la testa; di faccia a lui stava accucciato Pilato.

L'animale stava distante dal padrone, quasi temesse di esser pestato.

Quando entrai, Pilato rizzò le orecchie, si alzò abbaiando e diedesi a saltarmi intorno.

Per poco non mi fece cadere il vassoio.

Posai questo sulla tavola, poi mi accostai al cane e gli dissi piano: Giù, Pilato!

Il signor Rochester si volse per sapere che cosa aveva cagionato quel trambusto, ma, non potendo veder nulla, sospirò.

— Datemi dell'acqua, Maria, — disse. Mi accostai col bicchiere. Pilato mi seguiva, sempre eccitato.

— Che cosa c'è, dunque? — domandò il signor Rochester.

— Giù, Pilato! — ripetei.

Il signor Rochester si fermò nel momento in cui stavo per avvicinargli il bicchiere alle labbra, e parve ascoltare; poi bevve e posò il bicchiere.

— Siete voi, Maria, non è vero? — disse.

— Maria è in cucina, — risposi. Egli avanzò rapidamente la mano, ma, non vedendoci, non potè toccarmi.

— Chi è? Chi è? — domandò, sforzandosi di vedere.

Sforzo vano e doloroso!

— Rispondetemi, parlatemi ancora! — esclamò con voce alta e imperiosa.

— Volete dell'altr'acqua, signore? — dissi. — Ne ho versato la metà.

— Chi è? Com'è? Chi parla?

— Pilato mi ha riconosciuta, e John e Maria anche. Sono giunta stasera, — risposi.

— Gran Dio! Qual delusione mi aspetta! Quale dolce pazzia m'invade!

— Non vi sarà delusione, come non vi è pazzia. La vostra mente, signore, è troppo forte per andar soggetta alla pazzia.

— Dov'è quella che parla? Ma è una voce soltanto? Oh! non posso vederla! Bisogna che la senta il mio cuore, se no cesserà di battere, la testa mi scoppierà. Chiunque siate, lasciate che vi tocchi, se no morrò!

Si mise a brancolare. Io fermai la sua mano errante e la chiusi nelle mie.

— Sono i suoi ditini! — esclamò. — I suoi ditini delicati! Allora è qui tutta intera.

La mano muscolosa si sprigionò dalle mie, afferrò il braccio, la spalla, il collo, la vita e ben presto mi sentii stretta a lui.

— È Jane? È lei davvero? Queste sono le sue forme, la sua vita...

Ed è la sua voce, — aggiunsi. — È lei tutta intera, con lo stesso cuore per voi. Iddio vi benedica, signore! Sono felice di essere accanto a voi.

— Jane Eyre! Jane Eyre! — fu tutto quello che potè dire.

— Mio caro padrone, — risposi, — sono Jane Eyre; vi ho ritrovato e torno a voi.

— Siete voi davvero, in carne ed ossa? La mia Jane vivente?

— Mi toccate, signore, e mi stringete forte. Non sono fredda come un cadavere e non svanisco come spirito.

— La mia adorata è viva! Queste sono certo le sue membra, questo il suo spirito; ma non è possibile che io sia tanto felice dopo tanto dolore. È un sogno, un sogno come quello che ho fatto spesso, figurandomi di stringerla a me, di toccarla come ora, e sentivo che mi amava e che non mi avrebbe lasciato mai.

— E non vi lascierò più da oggi, signore.

— Anche la visione lo diceva, ma svaniva, e io mi trovavo solo e burlato, ed ero desolato, abbandonato; la mia vita continuava ad esser tetra, isolata e senza speranza. La mia anima era assetata, il mio cuore affamato! Visione gentile, che stringo al petto, anche tu svanirai come le altre; ma baciami prima di fuggire, Jane, abbracciami.

— Sì, sì, ecco!

Posai le labbra sui suoi occhi, un tempo così brillanti e ora senza luce; sollevai i suoi capelli, e lo baciai in fronte.

Parve che a un tratto si destasse; la convinzione della realtà gli era penetrata nel cuore.

— Siete voi, Jane? Siete tornata a me?

— Sì, sono io.

— Allora non siete morta in qualche fosso, nel fondo di qualche torrente? Non siete avvilita in casa di estranei?

— No, signore: sono indipendente ora.

— Indipendente! Che cosa volete dire, Jane?

— Mio zio di Madera è morto e mi ha lasciato cinquemila sterline.

— Ecco una cosa reale! Non avrei fatto mai un sogno simile! — esclamò. — Eppoi questa è la sua voce, così animata, così gaia, eppure così dolce! mi accarezza il cuore e mi riconduce alla vita. Come, Jane, siete indipendente, siete una donna ricca?

— Sì, signore, e se non volete che viva con voi, posso farmi costruire una casa accanto alla vostra porta, e voi, quando la sera avrete bisogno di compagnia, verrete nel mio salotto.

— Ma ora che siete ricca, Jane, avrete amici che non vi permetteranno di dedicare l'esistenza a un povero cieco!

— Non vi ho detto che ero indipendente e ricca? Sono padrona assoluta di me, signore.

— E volete restar con me?

— Certo, a meno che non me lo permettiate. Sarò la vostra vicina, la vostra infermiera, dirigerò la vostra casa. Vi ho trovato solo, sarò la vostra compagna, vi leggerò, passeggerò con voi, mi sederò presso di voi, sarò le vostre mani e i vostri occhi. Cessate di mostrarvi afflitto, caro padrone: non sarete mai abbandonato finché io vivrò.

Non rispose: pareva serio e distratto.

Sospirò, socchiuse le labbra per parlare e le richiuse di nuovo.

Io provavo un senso di malessere, forse avevo messo troppo zelo nelle mie offerte, forse avevo tenuto poco conto delle convenienze, e lui, come Saint-John, era stato offeso dalla mia sfrontatezza.

Avevo fatta la mia proposta partendo dall'idea che egli volesse sposarmi.

Benché non l'avesse detto, ero convinta che mi avrebbe reclamata come cosa sua, ma vedendo che non diceva nulla e che il suo aspetto si faceva sempre più chiuso, temei d'essermi ingannata e di aver agito alla leggiera.

Allora cercai di svincolarmi dalle sue braccia, ma egli mi strinse a sé più forte.

— No, Jane, non partite! — esclamò. — Non partite! Vi ho toccata, ascoltata, ho sentito tutta la felicità di avervi accanto, tutta la dolcezza di esser consolato da voi; non posso rinunziare a questa gioia,

"II mondo potrà ridere, potrà chiamarmi pazzo ed egoista, non importa. La mia anima ha bisogno di voi; ella vuole essere appagata, se no si vendicherà crudelmente sul corpo che la tiene schiava.

— Ebbene, signore, rimarrò con voi come ho detto.

— Sì, ma dicendo che resterete con me, voi capite una cosa e io un'altra. Voi potreste forse risolvervi a essermi sempre accanto, a servirmi come un'attenta infermiera, perché avete il cuore affettuoso, siete generosa e pronta a sacrificarvi per quelli che compatite. Questo dovrebbe bastarmi certo. Dovrei aver per voi soltanto sentimenti paterni; non è questo il vostro pensiero, dite?

— Penserò ciò che vorrete voi, signore, e mi contenterò di essere la vostra infermiera soltanto se voi lo volete.

Ma voi, Jane, non potrete esser sempre la mia infermiera; siete giovane e vi mariterete un giorno.

— Non desidero maritarmi.

— Dovete desiderarlo, Jane. Se io fossi come prima, cercherei di farvelo desiderare; ma un povero cieco...!

Dopo aver dette queste parole, ricadde nella tristezza; io invece mi feci più allegra e ripresi coraggio; quelle ultime parole mi mostravano in che consisteva l'ostacolo, e siccome non era tale ai miei occhi, mi sentii sollevata e ripresi con più vivacità la conversazione.

— È tempo che qualcuno vi faccia riprendere aspetto umano, — dissi, rialzandogli i capelli lunghi e folti, — perché vedo che siete cambiato in leone o in qualche altra fiera. I vostri capelli mi rammentano le penne dell'aquila, ma non so se vi siate lasciato crescer le unghie come artigli.

— In fondo a questo braccio non c'è né mano, né unghie, — disse, cavando dal petto il braccio monco per farmelo vedere. — È’ un moncherino; che spettacolo orribile, non è vero, Jane?

— Sì, fa pena a vederlo, e fanno pena i vostri occhi e la cicatrice della fronte. E il peggio si è che si corre rischio di amarvi troppo per questo, e di stimarvi più di quel che valete.

— Credevo, Jane, che avreste provato ribrezzo vedendomi in questo stato.

— Come! Non osate dirmelo, se no avrò cattiva opinione di voi. Ma ora lasciatemi andare perché possa fare un buon fuoco. Vedete la fiamma?

— Sì, con l'occhio destro vedo un chiarore.

— E vedete anche le candele?

— Ognuna è per me come una nube luminosa.

— Mi distinguete?

— No, cara, ma sono infinitamente pago udirvi e di sentirvi.

— A che ora cenate?

— Non ceno mai.

— Ma stasera cenerete, perché ho fame, e sono sicura che a questo non avete pensato.

Chiamai Maria, e la stanza prese subito un aspetto più assettato e più grazioso, e preparai una buona cena.

Ero eccitata e gli parlai con piacere durante la cena e dopo.

Con lui almeno non ero costretta a reprimere la vivacità, mi sentivo sicura, perché sapevo di piacergli. Tutto quello che gli dicevo lo consolava e lo rianimava.

Deliziosa certezza, che faceva espandere liberamente tutte le mie qualità!

Benché cieco, il sorriso gli animava il volto, i suoi tratti prendevano una espressione più calda e più dolce.

Dopo cena mi fece molte domande per sapere dov'ero stata, che cosa avevo fatto, e come lo avevo trovato; gli celai in parte la verità, perché non volevo far vibrare troppo il suo cuore, né suscitare in lui commozioni troppo violente.

Il mio solo desiderio per il momento era di distrarlo, e vi ero in parte riuscita.

Se la conversazione languiva, egli mostravasi subito inquieto, mi toccava e diceva:

— Jane, Jane, siete una creatura umana? Ne siete certa?

— Ne ho piena certezza, signor Rochester.

— Ma allora, come mai in questa cupa serata vi siete a un tratto trovata accanto a me? Ho allungato la mano per prendere un bicchier d'acqua e siete stata voi, che me lo ha porto; ho fatto una domanda ed è stata la vostra voce che ha echeggiato al mio orecchio.

— Perché ero io, e non Maria, che aveva portato il vassoio.

— Le ore che passo con voi sono come incantate. Nessno può sapere quale esistenza desolata abbia trascorso per lunghi mesi. Non facevo nulla, non speravo nulla; confondevo il giorno con la notte, non sentivo freddo che quando lasciavo spegnere il fuoco, e la fame che quando dimenticavo di mangiare, e una tristezza incessante, qualche volta un vero delirio, non vedendo la mia cara Jane.

"Sì, desideravo più ardentemente di sentirla vicina a me, anche più che di ricuperare la vista.

"Come mai Jane è con me e mi dice di amarmi? Non partirà all'improvviso com'è venuta? Ho paura di non trovarla più domani.

Una risposta pratica, che lo distogliesse dai pensieri dolorosi, era il mezzo migliore per rassicurarlo.

Gli accarezzai i sopraccigli e osservai che erano bruciati e aggiunsi che glieli avrei fatti ricrescere folti e neri come prima in virtù di un unguento.

— Perché farmi del bene, spirito benefico, dal momento che dovete lasciarmi?

"Voi sparirete come un'ombra e non saprò dove anderete né come fare a cercarvi!

— Avete un pettinino in tasca, signore?

— Perché, Jane?

— Per pettinarvi questa nera criniera. Mi fate paura quando vi guardo. Voi dite che sono una fata, ma voi siete un diavolo.

— Sono orribile, Jane?

— Sì, e lo siete stato sempre, lo sapete.

— Oh! Quelli dai quali avete abitato non vi hanno corretta dalla vostra malignità.

— Eppure erano buoni; molto migliori di voi; avevano idee sulle quali non avete mai riflettuto. I loro pensieri erano più alti e più raffinati.

— Con chi diavolo siete stata?

— Non ve lo dirò stasera, signore; dovrete aspettare fino a domani a saperlo,

"II lasciare a metà il mio racconto, mi guarentisce che sarò domani chiamata a colazione, per terminarlo. Ah! bisogna rammentarsi che non voglio apparire al vostro focolare con un solo bicchier d'acqua. Ci vuole almeno un uovo e un po' di prosciutto fritto.

— Monella! figlia delle fate e degli gnomi; sento accanto a voi quello che non ho mai sentito in un anno. Se Saul vi avesse avuto invece di David, lo spirito maligno sarebbe stato fugato senza bisogno dell'arpa.

— Signore, ora siete pettinato e io vado via, perché ho viaggiato tre giorni e sono stanca.

Buonanotte.

— Ancora una parola, Jane. C'erano soltanto delle signore nella casa dove avete abitato? Fuggii ridendo e ridevo sempre salendo le scale.

— Ho avuto una buona idea, — pensavo, — almeno così ho mezzo di distrarlo per un po' di tempo.

La mattina dopo di buon'ora lo sentii andare da una stanza all'altra. Appena Maria si presentò a lui, le domandò:

— È qui la signorina Eyre?

Poi volle sapere quale camera mi aveva data, se ero alzata, e le ordinò di salire per domandarmi se avevo bisogno di nulla.

Scesi all'ora della colazione ed entrai piano nella stanza, esaminandolo.

Fui addolorata vedendo quello spirito vigoroso domato da un corpo infermo.

Egli aveva l'aspetto di chi attende ansiosamente. I suoi lineamenti marcati rivelavano un dolore continuo. Pareva un lume spento che attenda qualcuno che lo riaccenda.

Ma non era lui che poteva ravvivare la fiamma; aveva bisogno del concorso di un altro.

Volevo essere ìlare e gaia, ma l'impotenza di quell'uomo, che avevo veduto così forte, mi intenerì. Nonostante, mi accostai a lui e gli dissi con tutta l'allegria che potevo simulare:

— Ecco una bella giornata; ha smesso di piovere e c'è il sole. Verrete fra poco a passeggiare.

Aveva riaccesa la fiamma dal volto, ero raggiante.

— Ahi eccovi, gaia lodoletta! — esclamò. — Venite a me; non siete partita, non siete scomparsa. Da un'ora sento le vostre sorelle cantare nel bosco, ma per me il loro canto non aveva armonìa: il mio orecchio è insensibile a tutte le armonie della terra, e non mi piace altro che la voce della mia Jane.

"Per fortuna si fa udire spesso. La sua presenza è il solo raggio che possa riscaldarmi.

Mi vennero le lagrime agli occhi udendo la confessione della impotenza di lui; pareva un'aquila reale costretta a chiedere a un povero passerotto di portarle il cibo.

Passammo la maggior parte della mattina all'aria aperta.

Condussi il signor Rochester fuori del bosco umido e cupo. Gli descrissi il fogliame verde e lucente, le siepi fiorite, il cielo di un azzurro immacolato.

Cercai un posticino all'ombra; egli si sedè su un tronco d'albero e io non ricusai di sedermi sulle sue ginocchia.

Perché glielo avrei negato, mentre tutt'e due eravamo felici stando soli e vicini?

Tutto era silenzioso; Pilato era accucciato davanti a noi.

Il signor Rochester ruppe il silenzio e mi circondò col suo braccio.

— Crudele, crudele disertore! — esclamò. — Oh! Jane, non potete figurarvi quello che soffrii quando seppi che eravate fuggita da Thornfield e quando non vi potevo trovare in nessun luogo!

“Avevo frugato in camera vostra e sapevo che non avevate né danaro, né oggetti preziosi. Avevate lasciato anche il vezzo di perle che vi avevo dato, e i vostri bauli erano legati ancora come per il viaggio di nozze.

"Mi domandavo che cosa avrebbe fatto la mia cara, povera e abbandonata.

"E che cosa avete fatto? ditemelo!

Cominciai allora il racconto di quello che avevo fatto in quell'anno, e attenuai molto gli strazii dei tre primi giorni, in cui avevo errato morente di fame; sarebbe stato un procacciargli una inutile sofferenza.

Però quel poco che gli raccontai bastò a rattristarlo più di quello che avevo supposto.

Mi disse allora che non avrei dovuto lasciarlo senza assicurarmi il denaro per il viaggio; che avrei dovuto comunicargli la mia intenzione, confidarmi con lui, ed egli non mi avrebbe mai costretta ad esser la sua amante.

Mi voleva tanto bene che mi avrebbe dato la metà del suo patrimonio, senza chiedermi in compenso un bacio, piuttosto che vedermi spersa per il mondo, senza amici.

Egli era sicuro, aggiunse, che avevo sofferto più di quel che dicevo.

— Ma le mie sofferenze sono state brevi, — risposi.

E mi misi a raccontargli come ero stata ricevuta a Moor-House, come avevo ottenuto il posto di maestra a Morton, e dell'eredità e della maniera come avevo trovato i miei cugini.

Il nome di Saint-John tornava spesso nel racconto.

Quando ebbi terminato, il signor Rochester mi domandò:

— Dunque quel Saint-John è vostro cugino?

— Sì.

— Ne avete parlato spesso. Lo amavate?

— Era buono, signore e non potevo non amarlo.

— Buono, significa forse un uomo di cinquant'anni, che si conduce bene? Che cosa volete dire? Spiegatevi.

— Saint-John ne ha ventinove, signore.

— È giovane ancora. È forse piccolo e brutto? È una di quelle persone la cui bontà consiste piuttosto nella mancanza di vizii che nella manifestazione delle qualità?

— È infaticabilmente attivo, e lo scopo della sua vita è di compiere atti grandi e nobili.

— Ma forse ha la testa debole. Vorrà il bene, ma sarà impotente a farlo.

— Parla poco, signore, ma si fa ascoltare con interesse. È forte di mente ed ha uno spirito inflessibile, ma vigoroso.

— Allora è un uomo ammirabile?

— Veramente ammirabile.

— È educato?

— Saint-John è educato e coltissimo.

— Non mi avete detto che le sue maniere non vi piacevano: forse è pedante e predicatore?

— Non ho mai alluso alle sue maniere, ma se non mi fossero piaciute sarei stata di cattivo gusto, perché sono cortesi, calme e signorili.

— Ho dimenticato quel che mi avete detto del suo aspetto; sarà un rozzo prete di campagna, a metà strozzato nella cravatta bianca e con le scarpe con i chiodi.

— Saint-John si veste bene, è alto e bello, con gli occhi azzurri e il profilo greco.

— Che il diavolo se lo porti! — disse a bassa voce, e poi aggiunse voltandosi a me: — Lo amate, Jane?

— Sì, signor Rochester, ma me lo avete già domandato.

Vidi quel che provava; la gelosia si era impossessata di lui e lo torturava; ma quella tortura era salutare, perché lo strappava alla sua dolorosa tristezza.

Così non volli allontanare subito, incantare il serpente.

— Forse non desiderate rimaner più sulle mie ginocchia, signorina Eyre?

— Perché no, signor Rochester?

— Secondo il ritratto che mi avete fatto, il contrasto deve parervi troppo grande. Mi avete dipinto un grazioso Apollo; egli è presente alla vostra immaginazione, alto, con gli occhi azzurri e il profilo greco. Il vostro sguardo si posa sopra un Vulcano, con le spalle larghe, cieco e storpio per di più.

— Non ci avevo mai pensato, signore; ma infatti somigliate a Vulcano.

— Ebbene, potete andarvene, signora, — e mi teneva più stretta di prima, — ma avanti abbiate la compiacenza di rispondere a un paio di domande.

— Quali, signor Rochester?

Allora incominciò un severo esame.

— Saint-John, — disse, — vi aveva fatto ottenere quel posto di maestra, prima di sapere che eravate sua cugina?

— Sì.

— Lo vedevate spesso? Visitava la scuola?

— Tutti i giorni.

— E approvava quello che facevate? So che siete istruita e intelligente, e dovevate far bene.

— Sì, approvava tutto.

— Egli scoprì presto in voi cose che non aveva sperato di trovare? Siete molto più colta e intelligente delle altre donne.

— Non posso rispondervi su questo.

— Voi dite che avevate una casetta vicina alla scuola; ci veniva spesso?

— Qualche volta.

La sera?

— Una volta o due.

Il signor Rochester tacque un momento.

— Quanto tempo siete stata con le sorelle e con lui, dopo scoperta la parentela?

— Cinque mesi.

— Rivers stava molto con voi e con le sorelle?

— Sì. Il salotto ci serviva di studio a tutti; egli stava nel vano della finestra e noi alla tavola.

— Egli studiava molto?

— Sì, molto.

— E che cosa?

— La lingua dell'Indostan.

— E voi, che cosa facevate?

— Da principio studiavo il tedesco.

— Ve lo insegnava lui?

— No, non lo capiva.

— Non v'insegnava nulla?

— Un po' d'indostano.

— Rivers v'insegnava l'indostano?

— Sì, signore.

— E anche alle sorelle?

— No.

— Soltanto a voi?

— Soltanto a me.

— Glielo avevate chiesto?

— No.

— Era lui che lo desiderava?

— Sì.

Il signor Rochester tacque di nuovo.

— Perché lo desiderava? A che poteva servirvi quella lingua?

— Voleva condurmi nelle Indie.

— Ah! indovino ora; voleva sposarvi.

— Infatti mi ha chiesto di esser sua moglie.

— Non è vero! È un racconto impudente che inventate per farmi pena.

— Scusate, è la verità. Me lo ha chiesto più di una volta, e voi stesso non avreste messo in quella domanda più tenacia di lui.

— Signorina Eyre, vi ho detto che potevate andarvene; quante volte dovrò ripetere la stessa cosa? Perché questa ostinazione a restare sulle mie ginocchia, quando vi dico di andarvene?

— Perché ci sto bene.

— No, Jane, non ci state bene; il vostro cuore non è con me, è con vostro cugino, quel Saint-John. Oh! fino a questo momento ho creduto che la mia piccola Jane fosse tutta mia.

"Anche quando mi abbandonò, ero convinto che mi amasse. Quella era la sola gioia in mezzo ai miei grandi dolori.

"Benché fossimo separati, benché abbia pianto amaramente sulla nostra separazione, non ho mai pensato che la mia Jane potesse amare. Ma è inutile di affliggersi; lasciatemi e sposate Rivers.

— Allora, signore, mandatemi via con la forza, perché non vi abbandonerò per volontà mia.

— Jane, amo che la vostra voce ancora ridesti la speranza, perché ha un suono così fedele. Quando la sento, mi riporta a un anno fa e dimentico che avete formato nuovi legami. Ma son pazzo.... andate....

— Dove, signore?

— Per la vostra via.... andate a cercare il marito che avete scelto.

— Chi è?

— Lo sapete, è quel Rivers.

— Non è mio marito e non sarà mai. Non lo amo, e non mi ama.

"Egli è innamorato (come lui può esserlo) di una bella ragazza, per nome Rosmunda. Vuole sposar me soltanto perché crede che io sarei una buona moglie di missionario. È grande e buono, ma freddo con me come il gelo.

"Non vi somiglia, signore, e io non sono felice con lui, perché non ha indulgenza, nè tenerezza; non vede in me nulla di attraente, neppur la gioventù. Mi considera soltanto come una persona utile.

"Ebbene, signore, devo lasciarvi per andare con lui!

Fremetti involontariamente e per istinto mi riavvicinai al mio padrone cieco, ma amato. Egli sorrise.

— Come, Jane, è vero? — disse. — Così stanno le cose tra voi e Rivers?

— Sì, signore. Oh! non occorre che siate geloso. Volevo eccitarvi per rendervi più allegro, pensando che la collera val meglio che il dolore. Ma se desiderate il mio amore, potrete accorgervi come io vi ami; ne sarete felice e altero. Tutto il mio cuore vi appartiene, signore, e continuerebbe ad appartenervi anche se fossimo divisi per sempre.

Mi abbracciò e parve oppresso da tristi pensieri.

— Oh! i miei occhi spenti! Le mie forze perdute! — mormorò con rammarico.

Lo accarezzai per distrarlo. Sapevo a quel che pensava e avrei potuto parlare per lui, ma non osavo.

Si volse un istante e gli vidi una lagrima brillare fra le palpebre chiuse e scendergli lungo la guancia. A quella vista mi sentii traboccare il cuor d'amarezza.

— Non valgo più del vecchio castagno colpito dal fulmine nel pomario di Thornfield, — disse. — Questo rudere potrebbe forse chiedere al caprifoglio di coprirlo con i suoi fiori?

— Voi non siete un rudere, signore; non siete un albero colpito dal fulmine. Nuove piante spunteranno intorno alle vostre radici, senza che voi glielo domandiate, perché saranno liete della vostra ricca ombra; s'appoggieranno con voi e vi cingeranno, perché la vostra forza sarà loro di sostegno.

Sorrise di nuovo, perché lo avevo consolato.

— Parlate degli amici, Jane? — mi domandò.

— Sì, signore, degli amici, — risposi esitando, perché pensavo a qualche cosa di più, ma non sapevo come esprimermi.

— Ma, Jane! Io ho bisogno di una moglie.

— Voi, signore?

— Sì, vi giunge nuovo?

— Non me ne avevate detto nulla.

— Non è una notizia gradita?

— Dipende dalle circostanze e dalla vostra scelta.

— Scegliete per me, Jane; accetterò la vostra scelta.

— Scegliete, signore, quella che vi ama di più.

— Io voglio scegliere quella che amo più. Jane, volete sposarmi?

— Sì, signore.

— Un uomo storpiato, che ha vent'anni più di voi e che dovrete assistere?

— Sì, signore.

— Davvero, Jane?

— Davvero.

— Oh! amor mio! Che Iddio vi benedica e vi ricompensi!

— Signor Rochester, se ho fatto una buona azione nella vita, se ho avuto un pensiero buono, se ho recitato con fervore una preghiera, ora ne sono ricompensata. Esser la moglie vostra equivale per me alla felicità sulla terra.

— Perché siete contenta di sacrificarvi.

— Di sacrificarmi! Che cosa sacrifico? La fame per il nutrimento, l'ansia per la felicità. Avere il diritto di stringere fra le mie braccia colui che stimo, di posar le labbra sulle labbra di chi amo, di riposarmi in chi ho fiducia, è forse un sacrificio? Se è così, certamente mi piace di sacrificarmi.

— Ma, Jane, bisognerà sopportare le mie infermità e guardare sempre a quel che mi manca.

— Questo non è nulla per me, signore. Vi amo maggiormente, perché posso esservi più utile che nei giorni della vostra fiera indipendenza, quando non volevate far altro che la parte di donatore e di protettore.

— Fin qui non ho voluto esser guidato né aiutato: mi ripugnava; ma ora è altra cosa. Mi sarà di consolazione metter la mano in quella di Jane, di essere aiutato da lei. Jane mi piace, e io, le piaccio?

— Sì, tanto.

— Ebbene, nulla ci costringe ad aspettare; dobbiamo sposarci subito.

Aveva lo sguardo ardente e la parola; egli ritrovava l'antica energia.

— Bisogna che siamo subito una cosa sola. Appena ottenuta la licenza ci sposeremo.

— Signor Rochester, il sole tramonta; Pilato se n'è già andato a pranzo; fatemi vedere che ora è al vostro orologio.

— Mettetevelo alla cintura e serbatelo, Jane. A me non è utile.

— Sono quasi le quattro, signore; non avete appetito?

— Fra tre giorni ci sposeremo. Non importa che abbiate gioielli, né vesti eleganti: tutto ciò non val nulla.

— Signore, il sole ha asciugato tutte le gocce di pioggia; il vento non soffia più ed è caldo.

— Sapete, Jane, che il vostro vezzo di perle cinge ora il mio collo abbronzato? Dal giorno in cui perdei il mio solo tesoro, quel vezzo io porto per ricordo.

— Traverseremo il bosco, più ombroso per tornare a casa.

Egli seguiva i proprii pensieri senza ascoltarmi.

— Jane, — proseguì, — voi credete che sia irreligioso come un cane di pagano, eppure il mio cuore è pieno riconoscenza per la misericordia divina. Dio vede meglio che gli uomini, giudica più saggiamente di loro.

"Grazie a lui, non vi ho fatto male. Volevo macchiare un fiore innocente, contaminarne la purezza.

"L'Onnipotente me l'ha strappata dalle mani e io l'ho quasi maledetto nella mia orgogliosa ribellione.

"Invece di piegare la fronte sotto la sua volontà, l'ho sfidato.

"La giustizia divina ha proseguito il suo corso; le sventure mi hanno colpito, sono stato in punto di morte.

"I castighi di Dio sono spaventosi: Egli mi colpì in modo da umiliarmi per sempre.

"Sapete che ero orgoglioso della mia forza, e ora debbo lasciarmi guidare come un bambino.

"È poco tempo, Jane, che ho riconosciuto nel mio destino la mano di Dio.

"Cominciai a sentire il pentimento e il rimorso, a desiderare di riconciliarmi col Creatore, e a pregare talvolta. Le mie preghiere erano brevi, ma sincere.

"È poco, perché sono appena quattro giorni, perché avvenne lunedì sera.

"Mi trovavo in una singolare disposizione di animo; il dolore aveva sostituito lo smarrimento, la tristezza, l'ostinazione.

"Da molto tempo mi ero convinto che, non potendovi rintracciare, dovevate esser morta.

"Quella sera, poteva essere fra le undici e mezzanotte, avanti di coricarmi, supplicai Iddio di togliermi da questo mondo e ammettermi in quello dove avevo speranza di esser ricongiunto a Jane.

"Ero in camera mia, seduto accanto alla finestra aperta, aspirando l'aria imbalsamata della notte.

"Aspiravo a te, Jane, a te col corpo e con l'anima.

"Chiedevo a Dio, con lo spirito umiliato e angosciato, se non mi poteva concedere ancora la felicità, la pace.

"Riconoscevo di aver meritato i miei mali, ma gli dicevo pure che la mia tortura era insopportabile.

“Le labbra, senza che io me ne accorgessi, espressero i desiderii del cuore, e io gridai:

"— Jane! Jane! Jane!

— Pronunziaste quelle parole a voce alta?

— Sì, Jane, e se qualcuno mi avesse sentito, mi avrebbe preso per matto, perché le pronunziai pure con frenesia.

— Dite che fu lunedì sera, verso mezzanotte?

— Sì, ma poco importa il giorno. Sentite qualcosa di più strano e mi crederete superstizioso.

"È certo che ho avuto sempre un po' di superstizione nel sangue; ma assicuratevi che quello che sto per dirvi è vero.

"Nel momento che gridavo: "Jane! Jane! Jane!" una voce, che non posso dire di dove venisse, ma che so bene a chi appartenesse, mi rispose:

"— Vengo, aspettatemi!

"E un momento dopo sentii mormorare per aria:

"— Dove siete?

"Vi dirò, se posso, l'effetto che mi produssero quelle parole, ma è difficile a esprimerlo.

"Vedete che Ferndean è nascosto in un bosco folto dove vengono a spengersi tutti i rumori senza produrvi nessuna eco.

"— Dove siete? — pareva che fosse stato pronunziato su una montagna, perché quelle parole furono ripetute dall'eco.

"In quel momento una brezza più fresca mi sfiorò la fronte.

"Avrei potuto credere che Jane ed io ci fossimo incontrati in qualche luogo deserto.

"Dovevamo esserci incontrati in ispirito, credo.

"Voi certo, Jane, a quell'ora dormivate placidamente e forse la vostra anima lasciava l'involucro terrestre per consolare la mia, perché era certo la vostra voce, ne sono certissimo.

Lettore, era pure nella notte di lunedì, vicino a mezzanotte, quando io udii la misteriosa chiamata, e le parole udite dal signor Rochester erano appunto quelle che mi erano uscite dalle labbra.

Ascoltai il racconto del signor Rochester, ma non gli narrai ciò che mi era successo.

Quella coincidenza mi parve troppo inesplicabile per esser comunicata e discussa.

Gli avrebbe inoltre fatta troppo impressione, e il suo spirito scosso da tanti dolori, non aveva bisogno di esser turbato da un racconto soprannaturale.

Serbai quelle cose seppellite nel cuore e le meditai.

— Non vi meraviglierete dunque, — continuò il mio padrone, — che ieri sera, quando siete comparsa all'improvviso, vi abbia creduta una visione, una voce che si spegnesse, come poche notti prima il mormorio e l'eco della montagna. Ora so che non siete una visione e ne ringrazio Dio dal fondo dell'anima.

Dopo avermi fatto alzare di sulle sue ginocchia, si rizzò, e si coprì rispettosamente la fronte, e volgendo in terra gli occhi senza sguardo, rimase in muta contemplazione.

Non udii altro che queste ultime parole della sua prece:

— Ti ringrazio, o mio Creatore, — disse, — di esserti rammentato della tua misericordia nell'ora della punizione e supplico umilmente il mio Salvatore di darmi le forze necessarie per condurre in avvenire una vita più pura che per il passato.

Stese la mano per domandarmi di guidarlo.

Presi quella mano adorata e la premei per un momento alle labbra, poi me la passai attorno al collo.

Essendo tanto più piccola di lui, potevo servirgli d'appoggio e di guida.

Entrammo nel bosco e tornammo a casa.