Il giorno comparve finalmente. Mi alzai all'alba e per un paio d'ore mi occupai a dare assetto ai cassetti, agli armadi e a tutto quello che avevo in camera, per lasciar in ordine ogni cosa durante una corta assenza. Mentre ero così occupata sentii Saint-John uscir di camera sua e fermarsi davanti alla mia. Temevo che bussasse, ma si contentò di spingere un foglio sotto la porta; lo presi e lessi: "Mi avete lasciato iersera a un tratto. Se foste rimasta un momento più, avreste posato la mano sulla croce del cristiano, sulla corona degli angioli. Tornerò fra quindici giorni e allora spero trovarvi decisa del tutto. "In questo tempo pregate e vegliate a fine di non esser tentata; credo che lo spirito sia ben disposto, ma la carne è debole. Pregherò per voi ad ogni ora. — Vostro, Saint-John." — Il mio spirito, — dissi, — vuol fare il bene, e spero che la mia carne sia abbastanza forte per compiere la volontà del cielo, quando quella volontà mi apparirà chiara. In ogni modo sarò abbastanza forte per uscire dalle nubi del dubbio e trovar la luce e la certezza. Benché si fosse al 1° di giugno, la mattinata era fredda e nuvolosa e la pioggia batteva contro i vetri. Udii Saint-John aprire la porta davanti, e guardando attraverso i vetri lo vidi traversare il giardino. Egli prese una via che andava in direzione di Withecross, dove doveva trovar la carrozza. Mi rimanevano due ore prima della colazione e le impiegai a passeggiare per la camera pensando all'avvenimento che avevami fatto prendere quella subita risoluzione. Mi rammentava la sensazione provata, perché ripensandoci mi pareva sempre più strana, e mi rammentavo la voce udita. Di nuovo chiedea di dove poteva essere partita, ma sempre invano. Dicevo a me stessa che poteva essere stata un'impressione nervosa, un'illusione, eppure non potevo crederlo; pareva piuttosto un'ispirazione. Quell'urto era avvenuto come il terremoto aveva aperto la prigione di San Paolo, aveva aperto la porta dell'anima mia, avevala liberata dalle catene, strappata al sonno ed essa si era destata tremante e sbalordita. Allora tre volte il grido aveva risuonato ai miei orecchi spaventati, nel mio cuore ansioso, nel mio spirito inquieto, e quel grido non vi aveva prodotto né sorpresa né spavento, ma piuttosto lo aveva fatto esultar di gioia, come di una prova del privilegio che aveva di essere indipendente dal corpo. — Fra pochi giorni, — dissi fra me, — saprò qualcosa di colui la cui voce mi ha chiamato la notte scorsa. Le lettere sono state inutili, tenterò le ricerche personali. A colazione annunciai a Diana e a Maria che partivo e che sarei rimasta assente almeno quattro giorni. — Partite sola? — mi domandarono. — Sì, parto per aver notizie di un amico del quale non so nulla. Questo pensiero mi turba da qualche tempo. Esse avrebbero potuto osservare che non avevo amici all'infuori di loro, come avevo sempre assicurato, ma se vi pensarono non lo dissero e con la loro solita delicatezza non mi fecero nessuna osservazione. Diana sola mi domandò se mi sentivo abbastanza bene per viaggiare, perché ero pallida. Risposi che l'inquietudine sola mi faceva soffrire e che speravo di esserne liberata presto. Lasciai Moor-House verso le tre e poco dopo le quattro ero davanti al pilastro di Whitecross, aspettando la carrozza che doveva condurmi a Thornfield; la sentii da lungi grazie al silenzio delle montagne solitarie e delle strade deserte. Un anno prima ero scesa da quella stessa carrozza, in quello stesso luogo, disperata, senza speranza e senza scopo. Feci un cenno, la carrozza si fermò ed entrai senza esser costretta questa volta di disfarmi di quanto possedevo per ottenere un posto. Ero di nuovo sulla via di Thornfield come un piccione viaggiatore che torna a casa. Il viaggio dura trentasei ore; ero partita da Whitecross un martedì dopo pranzo e il giovedì mattina presto il cocchiere si fermava ad abbeverare i cavalli in un albergo situato in un paese coperto di cespugli verdi, di vasti campi e di colline tenute a pasture, che mi colpirono come i tratti di un paesaggio, ridenti quelle tinte in confronto alle tristi paludi di Morton! Sì, lo conoscevo quel paesaggio e sapevo di esser vicina alla meta. — A che distanza è la villa di Thornfield? — domandai a uno stalliere. — A due miglia attraverso i campi, signora. Scesi di carrozza, affidai il baule allo stalliere dicendogli che l'avrei mandato a prendere, pagai il posto, detti la mancia al cocchiere e partii. Il sole brillava sull'insegna dell'albergo. Lessi queste parole a lettere d'oro: Alle armi dei Rochester, e il cuore battè più forte. Ero già sulle terre del mio padrone, ma subito dopo pensai: "Forse il signor Rochester avrebbe lasciato già l'Inghilterra e anche se fosse a Thornfield, che vai a fare? Tu non oserai parlargli e neppure vederlo; ti dai una pena inutile. Chiedi notizie alla gente dell'albergo e ti diranno ciò che desideri!" Questo pensiero era ragionevole, eppure non l'accettai, perché temevo una desolante risposta. Prolungare il dubbio è lo stesso che prolungar la speranza. Potevo almeno rivedere la villa. Davanti a me stavano le staccionate che avevo varcate la mattina in cui, sorda, cieca, barcollante, me ne ero allontanata, come se fossi inseguita da una furia vendicatrìce. Ero già in mezzo ai campi. Come camminavo presto! anzi talvolta correvo. Come guardavo avanti a me per iscorgere i boschi ben noti! Come salutavo gli alberi, ì prati e le colline che avevo percorso in passato! Finalmente vidi i boschi cupi dove si rifugiavano le cornacchie, e il loro gracchiare ruppe il silenzio mattutino. Provavo una delizia nuova e avanzavo rapidamente. Traversai ancora un campo, seguii un sentiero; si vedevano i muri della corte e dei fabbricati annessi che erano sul didietro della villa; la casa era nascosta ancora dal bosco. — Voglio vederla prima di faccia, — dissi, — almeno vedrò la finestra del mio padrone; forse sarà affacciato; egli si alza presto, ed è possibile che passeggi nel pomario. "Non sarei tanto pazza da corrergli incontro, eppure non so se non lo farei: non ne sono sicura. "E allora che cosa accadrebbe? Dio veglia su di lui! "Se provassi una volta ancora la felicità che sa darmi il suo sguardo, chi ne soffrirebbe? "Ma io deliro; forse in questo momento contempla il sorger del sole sui Pirenei o sui mari del Sud! Avevo costeggiato il muro basso del pomario e volgevo l'angolo. Fra due pilastri di pietra, sormontati da palle, si trovava una porta che metteva nei prati. Ritta dietro uno di quei pilastri potevo contemplare tutta la facciata della casa; sporsi la testa cautamente per vedere se le imposte delle camere erano aperte; da quel luogo dovevo vedere la facciata dagli abbaini alla base. Lettore, permettetemi un paragone. Un amante trova la sua innamorata addormentata su un sedile di musco; vorrebbe contemplarla senza destarla. Cammina pian piano sull'erba, per non far rumore; si ferma credendo ch'ella siasi mossa; fa un passo addietro; per nulla al mondo non vorrebbe esser veduto. Tutto è tranquillo; si avanza di nuovo, si curva su lei; un velo leggero ne copre i tratti; lo solleva e si abbassa; il suo occhio sta per contemplare una fiorente bellezza, adorabile nel sonno. Egli la contempla ardentemente, ma a un tratto rabbrividisce, stringe a sé violentemente quel corpo che poco prima non osava toccare, grida un nome, depone in terra il fardello e la guarda smarrito; e continua a chiamarla, a stringerla, perché teme di non poterla più destare. Credeva di trovare la sua amante addormentata e non ha trovato se non un cadavere! E io, che rivolgevo sguardi felici verso la bella casa, non scorsi che una rovina annerita dal fumo. Non c'era più bisogno che mi nascondessi per non esser veduta. Le aiuole, i prati, i campi erano calpestati e devastati; alla cinta mancavano i cancelli, la facciata tal quale l'avevo veduta in sogno: un muro alto, isolato, con i fori delle finestre, senza affissi, senza tetto, senza nulla. Intorno regnava il silenzio della morte e la solitudine del deserto. Non mi meravigliai più che le mie lettere non avessero ottenuto risposta; era lo stesso che gettarle in una tomba. Si vedeva che la villa era stata distrutta dal fuoco; ma chi avevalo acceso? Come mai era avvenuto quel disastro? E alla perdita materiale non v'era da aggiungervene altre? Vi erano state vittime? Domandai con spavento, al quale nessuno poteva rispondere! Camminando intorno ai muri in rovina, mi accorsi che l'incendio doveva essere avvenuto prima dell'inverno, perché la neve s'era scavata la via fra le fessure, e la primavera aveva sparso le sue sementi su quell'ammasso di ruderi; l'erba copriva le pietre e i travi; ma in quel tempo dov'era l'infelice padrone? In qual paese abitava, chi vegliava su di lui? I miei sguardi si volsero involontariamente alla vecchia chiesa, e dissi: — È forse andato a cercar riposo sotto la vòlta marmorea dei Rochester? Avevo bisogno di notizie, e andai a chiederne all'albergo. L'oste mi portò da sé la colazione in sala. Lo pregai di chiuder l'uscio e di sedersi, perché avevo alcune domande da rivolgergli, ma, a dir vero, non sapevo da dove cominciare, tanto temevo le sue risposte; eppure lo spettacolo che avevo contemplato mi doveva aver preparata a udir cose dolorose. L'oste era un uomo attempato, di aspetto rispettabile. — Conoscete certo Thornfield? — mi arrischiai a domandargli. — Sì, signora, vi ho abitato un tempo. — Voi! Non al tempo mio, credo, perché il vostro viso mi è nuovo. — Sono stato credenziere del defunto signor Rochester. Defunto! Mi parve di ricevere in pieno petto un colpo che cercavo di evitare. — Defunto! — mormorai. — È forse morto? — Parlo del padre del signor Edoardo, — disse. Respirai di nuovo. Quelle parole mi avvertirono che il signor Edoardo, il mio signor Rochester, era vivo. Poiché non era nella tomba, potevo apprender tutto con una calma relativa; così domandai: — Il signor Rochester è a Thornfield? Sapevo quale risposta avrei ricevuta, ma desideravo allontanare, per quanto era possibile, la domanda positiva sul luogo di residenza di lui. — Oh! no, signora, — mi rispose, — nessuno vi abita. Voi non siete di questi luoghi, se no sapreste che cosa è accaduto l'autunno scorso. La casa non è più che una rovina, è bruciata tutta. È stata una gran disgrazia: valori enormi sono stati distrutti, soltanto alcuni mobili si sono salvati. "II fuoco scoppiò di notte, e prima che ne fossero avvertiti a Millcote, la casa era un ammasso di fiamme. Che spettacolo orribile! Io vi era. — A metà della notte, — mormorai, — sì, era l'ora fatale a Thornfield.... Si conosce la causa dell'incendio? — È stata indovinata, signora, ma anzi non c'è dubbio. Voi non sapete forse, — aggiunse avvicinando la sedia alla tavola e abbassando la voce, — che in casa c'era rinchiusa una pazza. — L'ho sentito dire. — Signora, quella pazza era ben guardata; per molti anni nessuno era sicuro che esistesse, perché non si vedeva mai; la voce pubblica diceva soltanto che qualcuno era nascosto alla villa, ma era difficile di saper chi. Si diceva che il signor Edoardo aveva condotto seco quella donna e alcuni pretendevano che fosse un'antica amante, ma l'anno scorso avvenne una cosa strana. Temeva che volesse raccontarmi la mia storia e cercai di ricondurlo al fatto. — E quella pazza? — chiesi. — Quella pazza era la moglie del signor Rochester; quella scoperta si fece così: vi era alla villa una giovane istitutrice di cui il signor Rochester.... — Ma la storia dell'incendio, — interruppi. — Eccoci, signora...; di cui il signor Rochester s'innamorò. La servitù dice di non aver mai visto nessuno innamorato come lui, eppure non era bella. Non l'ho mai veduta, ma pare fosse piccina e sottile come una bimba. "II signor Rochester aveva quarant'anni e l'istitutrice non ne aveva venti; sapete che quando gli uomini di quell'età s'innamorano delle ragazze, sono come stregati, e il signor Rochester voleva sposarla. — Questo me lo racconterete poi, ora ditemi dell'incendio; i sospetti non son caduti sulla pazza? — Precisamente, signora. Lei sola ha appiccato il fuoco. "C'era una persona incaricata di guardarla, Grace Poole. Era una donna capace, ma aveva il vizio di bere e dopo si addormentava profondamente. "Allora la pazza, che era maligna come una strega, le prendeva la chiave di tasca, apriva e andava a vagare per le stanze, facendo tutto il male possìbile. "Si dice che una volta abbia cercato di bruciare il signor Rochester nel letto. "La notte dell'incendio, prima dette fuoco alle cortine della stanza attigua alla sua, poi andò nella camera dove aveva abitato l'istitutrice (pareva che capisse qualcosa e le serbasse rancore) e mise fuoco al letto. Per fortuna non c'era nessuno. "L'istitutrice era fuggita due mesi prima e nonostante che il signor Rochester l'abbia fatta cercare ovunque, non ne ebbe mai notizia. "II dolore lo gettò in una specie di smarrimento; non era pazzo, ma voleva star sempre solo. "Mandò via la signora Fairfax, ma le ebbe riguardi, perché le assegnò una pensione vitalizia; la signorina Adele andò in pensione ed egli troncò ogni relazione e si rinchiuse nella villa come un eremita. — Come! non lasciò l'Inghilterra? — No davvero; non passava la soglia di casa, altro che di notte per vagare nei campi o nel pomario. Si sarebbe detto che avesse perduto la testa, e credo che l'avesse perduta in fatto, perché prima era l'uomo più vivo, più ardito e più furbo che vi fosse al mondo. "Non aveva passione per il giuoco, per il vino, né per i cavalli, non era bello, ma coraggioso e fermo di carattere. L'ho conosciuto da piccolo e in quanto a me ho spesso desiderato che la signorina Eyre si fosse rotto il collo prima di giungere alla villa. — Allora il signor Rochester era a Thornfield quando scoppiò l'incendio? — Sicuro! e salì nelle soffitte quando tutto era in fiamme, destò la servitù e l'aiutò a porsi in salvo, poi tornò su a cercare la matta. "Allora lo avvertirono che lei era sul tetto e agitava le braccia al disopra degli abbaini e mandava certi urli che si sarebbero potuti sentire a un miglio di distanza. "L'ho veduta e l'ho sentita; era un donnone con i lunghi capelli neri sparsi sulle spalle, e ho visto anche il signor Rochester salir sul tetto e l'ho sentito chiamare: "Berta!" e avvicinarsi quindi a lei. "La pazza gettò un grido, fece un salto e cadde morta sul lastrico. — Morta? Oh Dio! — Avete ragione, signora, fu una cosa spaventosa! — e rabbrividì. — E poi? — dissi. — La casa bruciò tutta e non rimase ritto che qualche pezzo di muro. — Non vi rimase morto nessuno? — No, eppure sarebbe stato forse meglio! — Che cosa intendete dire? — Povero signor Edoardo! Non credevo mai di vedere una cosa simile! Alcuni dicono che se l'è meritata per aver voluto sposare un'altra donna, mentre la prima viveva; io però lo compatisco di cuore! — Ma avete detto che vive! — esclamai. — Sì, ma forse sarebbe meglio che fosse morto. — Dov'è? — domandai. — In Inghilterra? — Sì, in Inghilterra, e per sempre. Come era dolorosa la sua agonia! È cieco, cieco! — aggiunse l'oste. — Povero signor Edoardo! Mi aspettavo peggio; avevo supposto che fosse pazzo. Radunai dunque le forze per domandare che cosa aveva cagionato quella disgrazia. — La sua bontà e il suo coraggio, signora. Non volle lasciar la casa finché tutti non furono usciti. Quando la signora Rochester si fu gettata giù dal tetto, egli scendeva per la scala grande; a un tratto avvenne uno sprofondamento. Fu tolto vivo di sotto le rovine, ma ferito gravemente. Una trave era caduta in modo da proteggerlo in parte, ma un occhio gli era schizzato fuori dalla testa e una mano era così fracassata che il signor Carter, il chirurgo, dovette amputargliela subito. L'altro occhio è stato bruciato, così che ora è cieco e storpio e senza nessuno che lo assista. — Dove sta? — domandai. — Alla villa di Ferndean, un possesso a trenta miglia di qui in un luogo deserto. — Chi è con lui? — Il vecchio John e la moglie; non ha voluto altri; si dice che sia proprio abbattuto. — Avete una carrozza qui? — Abbiamo un carrozzino, molto grazioso, signora. — Fatelo attaccare e dite al vetturino che se può condurmi prima di notte a Ferndean, pagherò a lui e a voi il doppio di quel che pagano al solito. |