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Jane Eyre.  Charlotte Brontë
Capitolo 32.
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Continuai a occuparmi della scuola con attività e con zelo.

Da principio il compito era duro, perché non riuscivo a capire il naturale delle mie scolare e speravo poco vedendole così ignoranti e apatiche. Ma presto mi accorsi di essermi ingannata.

Quando la meraviglia che destava in loro le mie maniere e il mio linguaggio si fu calmata, mi avvidi che alcune erano bensì dure, rozze e aggressive, ma che molte si mostravano compiacenti e amabili e scoprii in esse eccellenti disposizioni che mi stimolarono a continuar la prova.

Presto presero piacere a studiare, a star pulite, ad acquistar maniere calme e convenienti.

La rapidità dei progressi loro fu davvero sorprendente e ne concepii un giusto orgoglio.

Del resto mi ero affezionata alle migliori fra le mie scolare ed esse pure mi volevano bene.

Avevo fra le alunne diverse figliuole di affittaiuoli, che erano quasi ragazze. Esse imparavano a leggere, scrivere e a cucire, e potei insegnar subito qualcosa di più.

Fra quelle riscontrai caratteri stimabili e una gran voglia d'imparare e di migliorarsi.

Talvolta andavo la sera a trovarle e i loro genitori mi colmavano di attenzioni.

Era una gioia per me di accettare la loro umile ospitalità, come di sentirmi amata in paese.

Ogni volta che uscivo ero lieta di vedermi fatta segno a saluti affettuosi e a sorrisi cordiali.

In quel tempo della mia vita mi sentii più spesso il cuore gonfio di riconoscenza che oppresso dalla tristezza.

Eppure anche allora, dopo aver passato la giornata nella scuola, e la serata a disegnare o a leggere, ero perseguitata nella notte da sogni strani. In mezzo a scene bizzarre e strane avventure, incontravo sempre il signor Rochester nel momento critico della crisi.

Allora parevami di esser fra le sue braccia, di udire la sua voce, d'incontrare i suoi occhi, e lo amavo ed egli mi amava, e la speranza di passar con lui la vita, rinasceva impetuosa come prima.

Poi mi destavo, mi rammentavo la mia situazione e tremante e afflitta mi sedevo sul misero letto.

La notte tranquilla e cupa era testimone della mia disperazione e udivo i singhiozzi della passione.

Alle nove della mattina aprivo la scuola, e tranquilla e composta, mi preparavo ai doveri del giorno.

Rosmunda Oliver tenne la promessa di visitare la scuola.

Giungeva per il solito di mattina a cavallo, seguita da un servo; lasciava il suo pony alla porta ed entrava vestita di rosso, con istacco nero, bella più che mai, meravigliando con la sua grazia tutte le villanelle.

Veniva generalmente all'ora in cui il signor Rivers faceva il catechismo e credo che lo sguardo della giovane visitatrice trafiggesse il cuore al giovane pastore.

L'istinto pareva avvertirlo dell'arrivo di lei; anche se non la vedeva arrossiva e i suoi tratti di marmo si alteravano, benché egli si sforzasse di apparir calmo.

Certo ella conosceva il potere che esercitava sul signor Rivers, e questi non poteva nasconderglielo.

A dispetto del suo stoicismo cristiano, quando la ragazza gli rivolgeva la parola e gli sorrideva, egli tremava e gli occhi mandavano fiamme, e se le labbra restavano mute, lo sguardo pareva che le dicesse: "Vi amo e so che voi avete una preferenza per me. Se taccio, non è perché dubiti che l'offerta del mio cuore sia benaccetta, ma perché questo cuore è già disposto su un altare sacro, le fiamme del sacrifizio lo circondano, e ben presto il sacrificio sarà compiuto."

Allora ella metteva il broncio come una bimba cui sia negato un balocco; una nube scura offuscava la sua raggiante vivacità e si allontanava da lui con eroica rapidità.

Saint-John avrebbe certo dato il mondo intero per seguirla o trattenerla quando la lasciava; ma non le avrebbe sacrificato il paradiso.

Inoltre non poteva una sola passione bastare alla sua natura multipla; non poteva e non voleva rinunziare alla rude vita del missionario per la pace di Vale-Hall.

Lo seppi da lui, nonostante il ritegno che aveva nel far confidenze.

Spesso la signorina Oliver era venuta a visitarmi a casa e imparai presto a conoscerla, perché in lei non vi era né finzione, né mistero; era civettuola, ma buona; esigente, ma non egoista.

Era stata trattata sempre con somma indulgenza, eppure non era viziata.

Era vivace, ma dolce; era vana, ma non affettata.

Non aveva orgoglio per le sue ricchezze: era generosa, ingenua, abbastanza intelligente, ma gaia e leggera.

Era graziosissìma, insomma, anche agli occhi di una fredda osservatrice come me; ma non destava profondo interesse, né grande impressione.

Per esempio, era ben lungi dal somigliare alle due sorelle Rivers.

Io le volevo bene quasi quanto a Adele, benché si preferisca sempre la bimba che s'istruisce alle ragazze che si conoscono già grandi.

Ella si era incapricciata di me e pretendeva che somigliavo al signor Rivers, benché fossi soltanto carina e lui fosse un angiolo, come diceva lei.

Sosteneva però che ero intelligente, buona, educata, e le pareva che fosse un lusus naturae di far di me una maestra di villaggio.

Ero sicura che se avesse conosciuta la mia storia passata, ne avrebbe fatto un delizioso romanzo.

Una sera che con la sua infantile curiosità frugava nella credenza della cucina, vide prima due libri francesi, poi un volume di Schiller e una grammatica tedesca, quindi gli utensili da disegno e alcuni schizzi di paesaggio e di ritratti delle mie alunne.

— Li avete fatti voi questi disegni? — mi domandò. — Sapete il francese e il tedesco? Ma siete una meraviglia! Voi disegnate meglio del mio maestro della pensione di S.... Volete farmi il ritratto?

— Certo, — risposi.

Era un piacere per me di avere un così bel modello.

Ella vestiva un abito di seta turchina scura, aveva per solo ornamento i bei capelli castani che le scendevano in ricci naturali sul collo.

Presi un cartone e disegnai con cura i contorni di quel bel visino, e mi riserbai di colorire il ritratto un altro giorno, perché era tardi.

Rosmunda parlò di me a suo padre con tanti elogi, che egli venne insieme con lei a visitarmi.

Era un uomo alto, con i tratti forti, già attempato e grigio.

Pareva taciturno e forse era orgoglioso, ma con me fu cortesissimo.

L'abbozzo del ritratto di Rosmunda gli piacque molto, e mi pregò di farne una cosa ben finita.

Egli m'invitò pure ad andar la sera dopo a Vale-Hall.

Vi andai.

La casa era grande e bella ed attestava della ricchezza del proprietario.

Rosmunda fu allegra e animata, suo padre molto affabile, e quando, dopo il tè, si mise a parlare con me, mi espresse calorosamente la sua approvazione per quel che avevo fatto per la scuola di Morton.

— Ma a quanto vedo e sento, — aggiunse, — mi pare che siate troppo istruita per il posto che occupate, e temo che lo lascerete presto per uno migliore.

— Certo! — esclamò Rosmunda, — è tanto istruita da far l'istitutrice in una gran famiglia.

— Preferisco star qui, — pensai.

Il signor Oliver mi parlò del signor Rivers e di tutta la famiglia con molto rispetto.

Disse che portavano un antico nome, che i loro antenati erano ricchi e tutto Morton apparteneva loro, e che ora l'ultimo discendente della famiglia avrebbe potuto, volendo, allearsi alle più illustri case.

Gli pareva doloroso che un giovane come Saint-John, bello e pieno d'ingegno, volesse andar missionario.

Da quelle parole capii che il signor Oliver non vedeva nessun ostacolo al matrimonio di sua figlia con Saint-John, e considerava la nascita e la professione di lui compenso sufficiente alla mancanza di beni di fortuna.

Si era al cinque novembre, giorno festivo.

La mia servetta, dopo aver messo in ordine la casa, se n'era andata.

Io mi vestii, contenta di potermi occupare come mi pareva quella giornata.

Impiegai un'ora a tradurre alcune pagine di un libro tedesco, poi presi tavolozza e pennelli e mi diedi a terminare la miniatura di Rosmunda Oliver.

Ero occupata a ritoccare qua e là il ritratto, quando fu bussato e Saint-John entrò.

— Sono venuto a vedere come passate questo giorno di festa, — disse. — Non a pensare, spero? No, va bene; il disegno vi serve di distrazione. Vedete che non ho ancora piena fiducia in voi, benché vi siate portata così validamente fin qui. Vi ho portato un libro per distrarvi stasera, — e posò sulla tavola un poema pubblicato da poco, una di quelle produzioni del genio così frequenti in quel tempo.

Mentre guardavo avidamente le pagine di Marmion, perché il poema era opera di lui, Saint-John si chinò a guardare la miniatura, e alzandosi non disse nulla, ma io conoscevo i suoi pensieri e potevo legger facilmente in lui.

Ero calma, avevo sul pastore un vantaggio momentaneo, e volli profittarne per fargli del bene, parlandogli di Rosmunda.

Gli dissi prima di prendere una seggiola, di accomodarsi, ma al solito rispose che non aveva tempo per fermarsi; io non mi scoraggiai, e volli tentare di versare alcune goccie di balsamo in quel cuore di marmo.

— È somigliante questo ritratto? — gli domandai.

— Somigliante a chi? Non l'ho guardato bene.

— L'avete guardato, signor Rivers.

Egli si scosse udendomi parlare con franchezza così insolita.

— L'avete guardato anche attentamente, ma vi permetto di guardarlo ancora, — dissi, ponendogli in mano la miniatura.

— È ben fatta, — osservò egli, — le tinte sono dolci, il disegno è corretto e grazioso.

Sì, lo so, ma che dite della somiglianza? a chi somiglia questo ritratto?

Dominando l'emozione, rispose:

— Alla signorina Oliver.

— Certo. E ora, signore, per ricompensarvi di aver così bene indovinato, vi farò una copia della miniatura, purché mi promettiate di accettarla.

Continuava a guardare il ritratto e pareva che volesse divorarlo con gli occhi.

— È somigliante, — mormorò. — Gli occhi sono belli, il colorito, la luce, l'espressione, tutto è perfetto; questo ritratto sorride.

— Vorreste averne uno simile, oppure il dono vi offenderebbe? Ditemelo. Quando sarete al Madagascar, al Capo, alle Indie non sarebbe per voi una consolazione questo ricordo?

Alzò furtivamente gli occhi, mi guardò titubante e turbato, e poi contemplò di nuovo il ritratto.

Mi farebbe piacere di averlo, — disse, — ma è cosa saggia? Ecco un'altra questione.

Dacché sapevo che Rosmunda gli voleva bene, che il signor Oliver non si sarebbe opposto al matrimonio, mi ero messa in testa di favorire quell'unione, convinta che Saint-John col bel patrimonio del suocero avrebbe potuto far tanto bene quanto nelle missioni, così risposi:

— A quel che posso giudicare, mi pare che fareste meglio a prender l'originale e non il ritratto.

Intanto egli si era seduto, aveva posato il ritratto sulla tavola e con la fronte appoggiata alle mani, lo guardava teneramente. Vidi che era sollevato dalla franchezza con cui gli avevo parlato e continuai:

— Ella vi vuol bene, ne sono sicura, e suo padre vi stima. Poi è tanto carina, un po' sventata, è vero, ma voi avete tanto giudizio per due; dovreste sposarla.

— Mi vuol bene? — domandò.

— Certo, più che a tutti: parla sempre di voi e si compiace di ritornare su quell'argomento.

— Mi fa piacere di ascoltarvi; parlate per un quarto d'ora, — e togliendosi l'orologio dal taschino, lo posò sulla tavola per misurare il tempo.

— Ma perché dovrei continuare? — domandai. — Sono certa che voi preparate qualche potente argomento per contraddirmi e preparate una nuova catena per avvincere il cuore.

— Non vi figurate ciò; credete piuttosto che io ceda.

"L'amore umano sorge in me come fonte chiara e inonda il campo che aveva lavorato con tanta cura e fatica, nel quale aveva sparso la sementa delle buone azioni e della rinunzia di me stesso; e ora è sommerso sotto l'onda deliziosa e i germi sono rosi da un veleno inebriante.

"Mi vedo nella sala di Vale-Hall, ai piedi della mia fidanzata Rosmunda, odo la sua voce dolce, contemplo quegli occhi, che la vostra mano abile ha saputo così ben riprodurre, e mi beo nel sorriso di quelle labbra vermiglie.

"È mia; sono suo, questa vita presente, questo mondo d'un giorno, mi bastano; il mio cuore è pieno d'estasi, i miei sensi di delizie.

"Lasciate trascorrere in pace il tempo che ho assegnato.

L'orologio continuava a camminare. Saint-John aveva il respiro breve, io non parlavo.

Il quarto d'ora passò in mezzo a quel silenzio; il pastore riprese l'orologio, posò il ritratto e disse:

— Ora ho voluto accordare un breve istante al delirio e all'illusione; ho posato il capo sul seno della tentazione, ho volontariamente posto il collo sotto il giogo fiorito e ho gustato alla sua coppa; la bevanda è amara, le sue promesse son vane, le sue offerte bugiarde; lo vedo e lo so.

Lo guardai meravigliata.

— È strano, — proseguì, — che mentre amo Rosmunda così ardentemente, con tutto l'impeto di una prima passione, provi la certezza che ella non sarebbe per me una buona compagnia, la donna che mi conviene, e che dopo un anno di ebrezza succederebbe una vita di dolore. Lo so.

— È strano davvero! — non potei fare a meno d'esclamare.

— Se vi è qualcosa in me, — riprese, — che subisce fascino della sua attrattiva, qualcos'altro invece è urtato dai suoi difetti; ella non capirebbe aspirazioni, non potrebbe aiutarmi nelle mie imprese, non potrebbe soffrire, lavorare, predicare; no, Rosmunda non può esser moglie di un missionario.

— Ma voi non avete bisogno farvi missionario! Potete rinunziare a quel progetto.

— Io, rinunziarvi? Non sapete che è la mia vocazione, la grande opera, la base che pongo in terra per la mia dimora celeste, la mia speranza d'essere ascritto fra quelli che hanno soffocato ogni ambizione per il desiderio glorioso di migliorare i loro fratelli, di sostituire alla guerra la pace, alla schiavitù la libertà, alla superstizione la fede, al timore dell'inferno la speranza del paradiso? Verso queste alte aspirazioni devo rivolgere lo sguardo e vincere per questo scopo.

Dopo una lunga pausa domandai:

— E alla signorina Oliver, al suo dolore, non ci pensate?

— La signorina Oliver è circondata di corteggiatori e di adulatori. Fra un mese la mia immagine sarà cancellata dal suo cuore. Essa mi dimenticherà e sposerà un altro, che forse la farà più felice.

— Parlate freddamente, ma la lotta deve farvi soffrire; cambierete.

Il suo volto prese un'espressione di stupore; non credeva che una donna osasse parlargli in quel modo, ma io era sul mio terreno e non potevo entrare in comunicazione con gli spiriti forti, eletti e raffinati, senza oltrepassare il limite delle confidenze e conquistare un posto nel focolare del loro cuore.

— Siete originale, — mi disse, — e punto timida. Avete lo spirito coraggioso quanto penetrante l'occhio, ma assicuratevi che interpretate male le mie emozioni; voi le credete più forti di quel che sono.

"Non mi lagno quando, in presenza della signorina Oliver, arrossisco e tremo; disprezzo soltanto la mia debolezza; è una febbre della carne, ma, ve lo dico in verità, non è una convulsione dell'anima.

"No, la mia anima è forte come scoglio sorgente dalle profondità del mare. Conoscetemi per quel che valgo: sono un uomo duro e freddo.

Sorrisi d'incredulità.

— Vi siete impadronita per forza della mia confidenza; ora è tutta a vostra disposizione; se si potesse togliermi quest'involucro di carne, che copre le deformità umane, vedreste che sono un uomo duro, freddo e ambizioso.

"Di tutti i sentimenti, l'affezione per la famiglia è stata la sola che abbia conservato un ascendente su di me; la ragione è la mia guida e non il sentimento; ma l'ambizione è smodata, insaziabile.

"Onoro nell'uomo la pazienza, la perseveranza, l'industria e l'ingegno, perché sono i mezzi per i quali l'uomo può innalzarsi.

"Vi esamino con interesse, perché vedo in voi una donna attiva, saggia ed energica, ma non perché vi compianga per quello che avete sofferto e per quel che vi resta da soffrire.

Ma allora, — dissi, — sareste un filosofo pagano?

— No, vi è una differenza fra me e i filosofi deisti. Io credo, io credo nell'Evangelio.

"Vi siete sbagliata, sono un filosofo cristiano della sètta di Gesù; come suo discepolo, accetto le sue dottrine pure, generose e misericordiose, e voglio predicarle.

"Educato giovane nella religione, ascoltate che cosa essa ha saputo fare delle mie qualità innate.

"Con quel piccolo germe di affezione naturale che era in me, ha saputo sviluppare l'albero potente della filantropia; possedevo radici selvagge e incolte della rettitudine umana, e mi ha fatto capire la giustizia di Dio; ero ambizioso di potere e di fama, e mi ha ispirato la nobile ambizione di predicare il regno del mio Maestro, di combattere e vincere sotto lo stendardo della croce.

"Ecco che cosa ha fatto la religione della mia natura, ma non ha potuto distruggerla e nulla la distruggerà finché questo corpo mortale non passerà nell'eternità.

Dopo aver cessato di parlare, prese il cappello, guardò di nuovo il ritratto e mormorò:

— È bella, è davvero la rosa del mondo.

— Non volete avere il ritratto di lei?

Cui bono?; no.

Egli coprì il ritratto con la carta sottile sulla quale solevo appoggiare il braccio nel dipingere. Non so che cosa scorgesse su quella carta, ma qualcosa attirò i suoi sguardi.

La prese bruscamente, ne fissò il margine, poi fissò me con uno sguardo strano e incomprensibile, come se volesse imprimersi bene nella mente ogni tratto del mio volto e della mia persona, perché mi squadrò da capo a piedi.

Aprì gli occhi, quasi volesse parlare, ma tacque.

— Che cosa c'è'? — domandai.

— Nulla, — mi rispose.

E nel rimettere a posto la carta, vidi che ne strappò un pezzetto al margine e lo nascose nel guanto.

Poi mi salutò e andò via.

Esaminai la carta e non ci vidi che alcune linee per provare la matita.

Per due o tre minuti pensai a quel fatto, ma non potendo scoprire il mistero e persuasa del resto che non avesse importanza, non ci pensava più.