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Jane Eyre.  Charlotte Brontë
Capitolo 18.
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La giornata passava allegramente a Thornfield e l'attività regnava ormai al castello; quale differenza fra quella quindicina e i tre mesi di tranquillità, di monotonia e di solitudine, che avevo passati fra quelle mura!

I cupi pensieri erano stati scacciati, si erano dimenticati i ricordi penosi, per tutto eravi vita e movimento; non si poteva traversare i corridoi, così silenziosi prima, senza incontrarvi una elegante cameriera o un altero domestico. La cucina, il tinello, il grande vestibolo della villa erano egualmente animati, e la sala non era vuota e silenziosa altro che quando un bel sole primaverile non invitava gli ospiti a fare una passeggiata sulle terre del signor Rochester. A un tratto al bel tempo tennero dietro pioggie torrenziali, ma nulla potè distruggere l'allegria che regnava a Thornfield, e, non potendo uscire, i piaceri che offriva il castello si fecero più animati e più varii.

Sentii parlare di sciarade, ma non capivo che cosa significasse quella parola.

Furono chiamati i servi per togliere la tavola nella sala da pranzo, fu data un'altra disposizione ai lumi, e le seggiole furon collocate in semicerchio dinanzi all'arco.

Mentre che i signori dirigevano questi preparativi, le dame salivano e scendevano, chiamando le cameriere.

Fu interrogata la signora Fairfax per sapere che cosa v'era nella villa in materia di scialli, di stoffe e di vestiti; gli antichi abiti di broccato, di raso, le trine rinchiuse negli armadii del terzo piano furono scelti e portati nel salottino attiguo alla sala,

II signor Rochester chiamò intorno a sé le signore per sapere quali fra esse prenderebbero parte alla sua sciarada.

— La signorina Bianca Ingram mi coadiuva certo, — disse, dopo aver nominato le sorelle Eshton e la signora Dent.

Egli si volse verso di me; ero accanto a lui mentre chiudeva un braccialetto alla signora Dent.

— Volete recitare? — mi domandò.

Scrollai la testa; temevo che insistesse; ma non lo fece e mi permise di tornare al mio solito posto.

Egli si nascose dietro la tenda insieme con quelli che partecipavano alla sua sciarada; il resto della comitiva, presieduta dal colonnello Dent, si sedè davanti all'arco.

Il signor Eshton, avendomi osservato, domandò piano se non potevano farmi posto, ma la signora Ingram rispose subito:

— No, ha l'aria troppo stupida per capir qualcosa.

Dopo un certo tempo fu suonata una campana e la tenda venne tirata.

Sotto l'arco vi era sir George Lynn, avvolto in una lunga veste bianca. Un libro era aperto su una tavola collocata davanti a lui.

Amy Eshton sedevagli al fianco ed era avvolta nel mantello del signor Rochester e leggeva.

Qualcuno suonò un campanello, e Adele, che aveva voluto prender parte alla sciarada, fece un lancio sulla scena e sparse i fiori contenuti in una cesta.

Allora apparve la bella Bianca Ingram, vestita di bianco, avvolta in un lungo velo e con la fronte cinta di rose.

Il signor Rochester camminava accanto a lei. Tutti e due si avanzarono e s'inginocchiarono, dietro a loro si erano collocate la signora Dent e Luisa Eshton, egualmente vestite di bianco.

Allora incominciò una cerimonia, nella quale era facile riconoscere la pantomima di un matrimonio, e, terminata che fu, il colonnello Dent, dopo aver consultato i suoi vicini, disse:

Bride! (Sposa).

Il signor Rochester s'inchinò e calò il sipario.

Passò molto tempo prima che si alzasse di nuovo,

Questa volta il palcoscenico era preparato con maggior cura.

La sala era di due gradini più alta che la stanza da pranzo; sul gradino superiore era stato collocato un grande bacino di marmo, sotto alla serra.

Il signor Rochester, avvolto negli scialli e con un turbante in capo, era seduto accanto al bacino e pareva un Emiro asiatico.

La signorina Bianca si avanzò verso di lui, vestita pure con un costume orientale, e con le braccia sosteneva un'anfora posata sul capo. Pareva una bella ebrea del tempo dei patriarchi.

Si curvò sul bacino, empì l'anfora e stava per rimettersela in testa, quando l'uomo coricato si alzò e le fece con la mimica una domanda, allora ella sollevò l'anfora per dargli da bere, e il forestiere, togliendo un cofanetto di sotto le vesti, l'apri e mostrò alla fanciulla bellissimi gioielli.

Questa dette a divedere la sua meraviglia e ammirazione, e allora lo straniero, inginocchiandosi, le appese le buccole agli orecchi e le infilò nel braccio i monili.

Erano Eliezer e Rebecca al pozzo. Pozzo era la parola del quadro nel quale mancavano soltanto i cannelli.

Quando la tenda fu tirata per la terza volta, non si vide altro che una parte della sala; il resto era nascosto da rozze drapperie; al posto del bacino marmoreo vi era una tavola e una sedia di cucina. La scena era illuminata soltanto da una lanterna,

Nel mezzo di questo misero quadro era un uomo, con le mani abbandonate sulle ginocchia e gli occhi fissi in terra.

Nonostante che fosse truccato, riconobbi in lui il signor Rochester.

Aveva le vesti in disordine, anzi una manica dell'abito era scucita, come se gli fosse stata strappata durante la lotta.

Aveva l'atteggiamento disperato, i capelli ritti, e nel momento che si moveva si udì un rumore di catene.

— Bridewell! — esclamò il colonnello Dent, e capii che la sciarada era terminata.

Quando gli attori si furono rivestiti dei loro abiti consueti, entrarono nella sala da pranzo.

Il signor Rochester dava il braccio alla signorina Bianca e le faceva elogi sul modo con cui aveva rappresentata la sua parte.

— Sapete, — gli disse ella, — che vi preferisco in questa ultima parte? Se foste nato prima, sareste stato un galante brigante come Bridewell.

— Ho fatto sparire il belletto dal mio volto? — domandò, voltandosi a lei.

— Sì, disgraziatamente, perché vi stava bene.

— Allora voi amereste un brigante.

— Sì, ma preferirei che fosse un brigante italiano, o meglio ancora un corsaro orientale.

— Ebbene, chiunque io sia, rammentatevi che siete mia moglie; siamo stati sposati un'ora fa in presenza di questi testimonii.

Ella arrossì e si mise a ridere.

— Ora, colonnello Dent, spetta a voi, — disse il signor Rochester.

E quando il colonnello si ritirò con i proprii attori, il padrone di casa ed i suoi si sedettero sulle seggiole vuote.

La signorina Bianca prese posto accanto a lui. Da quel momento non feci più attenzione alle sciarade; i miei sguardi erano attratti dagli spettatori.

Sento ancora la conversazione che tenne dietro a ogni quadro, vedo ancora il signor Rochester volgersi dal lato della signorina Ingram e vedo lei inchinare la testa verso di lui e sfiorargli il volto e la spalla con i ricci neri; mi rammento degli sguardi che scambiavano e risento l'impressione che ne provava.

Ho detto che amavo il padrone di Thornfield. Non potevo imporre silenzio a questo sentimento soltanto perché il signor Rochester non badava a me, perché poteva stare ore e ore senza volger gli occhi dalla mia parte, perché vedeva tutta la sua attenzione attratta da una gran dama, che non avrebbe voluto sfiorarmi neppur con il lembo del suo vestito, che posando per caso il suo sguardo su di me, lo volgeva subito altrove con sprezzo.

Non potevo cessar di amarlo perché capivo che avrebbe sposato presto quella ragazza; perché leggevo nel contegno della signorina Ingram l'altera sicurezza del trionfo, perché infine a ogni istante scoprivo nel signor Rochester una specie di cortesia, che nonostante fosse imposta, più che data, era irresistibile nella sua noncuranza e nel suo orgoglio.

Tutti questi fatti non potevano né distruggere né raffreddare l'amore, ma potevano generare la disperazione e la gelosia, se pure un sentimento siffatto era possibile tra una infelice come me e una signorina nella posizione di Bianca Ingram.

No, non ero gelosa, o almeno soltanto in qualche momento; quel male non saprebbe esprimere la mia sofferenza; la signorina Ingram era al disotto della mia gelosia; era troppo inferiore per suscitare in me quel sentimento.

Scusatemi quest'assurdità apparente; intendo esprimere ciò che dico: era brillante, ma non era spontanea; era bella, attraente, ma povera di mente e il suo cuore era disseccato, senza aver fiorito rigogliosamente, senza avere dato frutti.

Non era né buona né originale; ripeteva le belle frasi imparate nei libri, ma non esprimeva mai un'opinione propria.

Ella affettava un tono di alto sentimento, ma non sentiva né simpatia, né compassione, non vi era in lei né tenerezza né franchezza.

Ella tradiva il suo carattere assai spesso dalla antipatia che dimostrava alla piccola Adele.

Quando la bimba le si accostava, respingevala con un epiteto ingiurioso; talvolta le ordinava di uscire dalla stanza o la trattava sempre aspramente e duramente.

Altri occhi, oltre i miei, studiavano le manifestazioni di quel carattere, le studiavano attentamente, continuamente, severamente.

Sì, il signor Rochester, il futuro fidanzato stesso esercitava sulla signorina Bianca una continua sorveglianza e quella coscienza chiara e netta dei difetti della sua cara, quella completa mancanza di passione rispetto a lui, erano per me una continua e sempre nuova tortura.

Vedevo che l'avrebbe sposata per ragioni di famiglia, o forse per ragioni politiche, perché gli conveniva la situazione di lei e le attinenze che aveva.

Sentivo che non le aveva dato il suo amore, e che ella non era capace di conquistare mai quel prezioso tesoro.

Questa convinzione era la mia sofferenza, il mio incessante tormento, la mia febbre: Bianca non poteva piacergli.

Se ella avesse trionfato, se il signor Rochester fosse stato sinceramente innamorato di lei, mi sarei velata la faccia, e sarei morta per loro, al figurato, s'intende.

Se la signorina Ingram fosse stata buona e degna d'amore, dotata di forza e d'abnegazione, avrei sostenuta una breve lotta con la gelosia o la disperazione, ma dopo l'avrei ammirata e sarei stata calma tutta la vita; più la sua superiorità fosse stata palese, più la mia ammirazione sarebbe stata profonda.

Ma veder gli sforzi che faceva per affascinare il signor Rochester, ma vederla mancar sempre lo scopo, senza neppure accorgersene, perché credeva che ogni colpo avesse prodotto l'effetto voluto, vederla inorgoglirsi dell'esito quando quell'orgoglio la faceva cader più basso agli occhi dell'uomo che voleva sedurre; esser testimone di tutto questo, sempre irritata, e sempre costretta a fingere, ecco ciò che non potevo sopportare.

Ogni volta che la signorina Ingram sbagliava il colpo, vedevo bene per qual mezzo avrebbe potuto riuscire.

Ognuno di quei dardi lanciati contro il signor Rochester e che vedeva cadere impotenti ai piedi di lui, sapevo che diretti con mano sicura avrebbero colpito profondamente quel cuore orgoglioso; essi avrebbero potuto far brillare l'amore in quegli occhi cupi e addolcire quel volto sardonico; anche senz'alcun'arma, la signorina Ingram avrebbe potuto riportare una silenziosa vittoria.

— Perché non ha ella alcuna influenza su di lui, — pensavo. — ella che può avvicinarlo di continuo? Non lo ama, in caso contrario non avrebbe bisogno di continui sorrisi, di moine e di occhiate. Mi pare che le basterebbe di sedersi tranquillamente accanto a lui, di parlar poco e di guardarlo anche meno, e giungerebbe al suo cuore.

"Ho visto sui lineamenti del signor Rochester una espressione molto più dolce di quella eccitata dalle moine della signorina Ingram, ma allora quella espressione non era provocata da nessun atto calcolato. Bastava accettare le sue domande, rispondergli senza pretesa, parlargli senza smorfie. Allora si faceva più dolce e più gentile, si scaldava col suo proprio calore; come farà lei a piacergli quando si saranno sposati? Eppure sarebbe così facile e una donna potrebbe esser tanto felice con lui!

Nulla di quanto ho detto può far supporre che io biasimassi il signor Rochester di prender moglie per calcolo e per convenienza. Fui sorpresa quando scoprii la sua intenzione, perché non credevo che potesse subire l'influenza di quei motivi nella scelta di una moglie.

Ma considerando i principii accettati nella classe alla quale apparteneva, capivo che non poteva vedere le cose sotto il medesimo aspetto che apparivano a me. Mi pareva che al posto suo non avrei sposato altro che una donna che avessi amata.

Anche nel giudicarlo in questo caso speciale, ero indulgente col signor Rochester e mentre prima avevo studiato il buono e il cattivo che vi era nel suo carattere, ora dimenticavo i difetti e non vedevo altro che le buone qualità.

Il tono di sarcasmo, che mi aveva fatto ribrezzo, poche settimane prima, la durezza, che aveva suscitato in me un senso di rivolta, mi facevano ora ben altra impressione, mi parevano il condimento piccante di una pietanza scelta; mi eccitavano, ma se fossero venute a mancare, la pietanza mi sarebbe parsa insipida.

Quella espressione sinistra o dolorosa, arguta o disperata che un osservatore attento avrebbe potuto veder balenare ogni tanto negli occhi di lui, ma che spariva prima che se ne fosse misurata la strana profondità; quella vaga espressione, che mi faceva tremare, che contemplava ora tranquilla, ora col cuore agitato, ma senza mai sentire i miei nervi paralizzati, invece di non vederla, cercavo d'indovinarla.

La signorina Ingram mi pareva che un giorno dovrebbe esser felice di esplorare l'abisso, di vederne i segreti ed analizzarne la singolare natura.

Mentre non pensavo che al mio padrone e alla sua futura sposa, gli altri invitati del signor Rochester eran egualmente occupati dei loro interessi e dei loro piaceri.

Lady Lynn e lady Ingram continuavano i solenni discorsi abbassando i due turbanti, uno verso l'altro, e alzando le quattro mani con sorpresa, con mistero o con orrore, secondo l'argomento delle loro chiacchiere; la dolce signora Dent parlava con la buona signora Eshton e tutte e due mi rivolgevano ogni tanto un sorriso o mi dicevano una parola cortese.

Sir George Lynn, il colonnello Dent e il signor Eshton discutevano di politica e degli affari della contea, lord Ingram ciarlava con Amy Eshton, Luisa si divertiva con uno dei Lynn e Maria Ingram ascoltava svogliata i discorsi galanti dell'altra.

Qualche volta tutti, come se si fossero data l’intesa, sospendevano la loro conversazione per osservare gli attori principali, cioè il signor Rochester e Bianca Ingram, che erano anima e centro della comitiva.

Se il signor Rochester s'allontanava per un'ora soltanto, una specie d'intorpidimento impossessavasi degli ospiti, e, appena egli tornava, un nuovo e rumoroso impulso era dato alla conversazione.

Il bisogno della presenza di lui si fece sentire specialmente un giorno in cui i suoi affari lo chiamarono a Millcote, di dove non avrebbe potuto tornare se non che tardi.

Il tempo era umido e gli ospiti avevano divisato di visitare un accampamento di zingari, giunti da poco nei dintorni, ma la pioggia impedì la gita.

Diverse signorine andarono a visitare le stalle, i più giovani rimasero a giuocare al biliardo insieme con le signore.

Lady Ingram e lady Lynn presero le carte, Bianca Ingram, dopo avere stancato col suo silenzio sdegnoso la signora Dent e la signora Eshton, si mise a canticchiare una romanza sentimentale accompagnandosi col pianoforte, poi andò a prendere un romanzo e si buttò sul sofà, preparandosi a passare, leggendo, le ore dell'assenza.

Tutta la casa era silenziosa; soltanto di tanto in tanto udivansi allegre risate echeggiare nella sala del biliardo.

Annottava, e già era suonata la campana per annunziare alle signore di andare a vestirsi, quando Adele, che era in ginocchio davanti alla finestra del salotto, esclamò: — Ecco il signor Rochester!

Mi volsi.

Bianca Ingram erasi alzata e tutte guardarono verso la finestra, perché in quel momento si udirono scricchiolare le ruote di una carrozza nel viale del castello, e accostarsi una sedia di posta.

— Perché torna in carrozza? — disse Bianca — è partito a cavallo e Pilato lo accompagnava; che cosa ne ha fatto del cane?

Nel dir questo si accostò, senza badare a me, alla finestra, ed io, per non essere urtata, dovetti prontamente, per farle posto, gettarmi da un lato.

La sedia di posta si era fermata, il conduttore suonò, e scese di carrozza un signore vestito da viaggio.

Era uno straniero alto ed elegante.

— Che noia! — esclamò Bianca Ingram. — E voi, scimmietta insopportabile, — aggiunse volgendosi a Adele, — chi vi ha messo alla finestra per dar notizie false?

Poi gettò uno sguardo dispettoso su di me, come se fossi responsabile dell'errore.

Si sentì parlare nel vestibolo, e il forestiere fu introdotto; egli salutò lady Ingram, perché gli parve la signora più anziana di tutte.

— Pare, signora, che abbia scelto male il momento della mia visita, — disse. — II mio amico Rochester è assente, ma giungo da un lungo viaggio e conto sulla nostra antica amicizia per aspettarlo fino al suo ritorno.

Aveva modi cortesi e un accento che non lo faceva giudicare né straniero, né inglese.

Poteva avere la stessa età del signor Rochester, e se non avesse avuto la carnagione gialla, sarebbe stato bello, sopratutto a prima vista.

Guardandolo attentamente aveva un non so che di spiacevole, o meglio mancavagli ciò che è fatto per piacere.

I tratti di lui erano regolari, ma flosci, gli occhi grandi, ma senz'anima. Così almeno mi parve.

La campana disperse gli ospiti e soltanto dopo pranzo rividi lo straniero; non era più impacciato, ma il suo volto mi piacque anche meno di prima. Aveva i lineamenti immobili e disordinati, guardava senza vedere, e il suo volto bello era ripugnante, mancava di forza, non c'era nessun pensiero su quella fronte bassa, nessuna espressione di autorità in quegli occhi neri.

Dal mio solito posto potevo vederlo bene.

Stava seduto in una poltrona accanto al fuoco e sempre si avvicinava alla fiamma, come se avesse freddo.

Lo paragonai al signor Rochester e mi parve che fra una dolce agnella e il cane col pelo arruffato e l'occhio attento che la guarda, non ci fosse maggior differenza che fra quei due uomini. Aveva parlato del signor Rochester come di un vecchio amico. Curiosa amicizia! — pensavo. — Prova evidente del proverbio: gli estremi si toccano!

Due o tre signori circondavano lo sconosciuto e di tanto in tanto afferravo brani di conversazione.

Luisa Eshton e Mary Ingram, che erano sedute vicino a me, m'impedivano di capir meglio. Esse pure parlavano del viaggiatore e tutte e due dicevano che era bello; Mary assicurava che aveva una bellezza ideale nella piccola bocca o nel naso delicato; Luisa pretendeva che era un amore di creatura e che lo adorava già.

Henry Lynn chiamò le sue ragazze all'altra estremità della sala, e potei allora concentrare tutta l'attenzione sul gruppo di cui era centro l'estraneo.

Seppi allora che si chiamava Mason, che era giunto in Inghilterra da un paese caldo, e capii allora perché era così giallo e aveva tanto freddo, e capii perché portava il mantello anche in casa.

Le parole Giamaica, Kingston m'indicavano che aveva abitato le Indie occidentali. E fui non poco meravigliata quando seppi che in quei lontani luoghi aveva conosciuto per la prima volta il signor Rochester.

Riflettevo a questa scoperta, quando un avvenimento inatteso interruppemi il corso dei pensieri.

Il signor Mason, che tremava appena aprirono la porta, chiese dell'altro carbone per metterlo nel fuoco.

Il cameriere, dopo aver portato il carbone, si fermò accanto al signor Eshton e gli disse qualcosa a voce bassa. Udii soltanto queste parole: "Una vecchia noiosa."

— Ditele che la faremo mettere in prigione, se non vuole andarsene.

— No, aspettate, non la mandate via, Eshton, — interruppe il colonnello Dent, — possiamo servircene; interroghiamo prima le signore. — E continuò a voce alta: — Signore, volevate andare all'accampamento degli zingari. Sam mi ha detto che una di quelle vecchie streghe è nel tinello e chiede di esser presentata alla compagnia per dire la sorte; volete vederla?

— Certo, colonnello, — esclamò Lady Ingram, — non vorrete incoraggiare una così grossolana impostura; mandate via quella strega in un modo o nell'altro.

— Ma non posso, signore, — disse Sam, — e non possono neppure gli altri servi. In questo momento la signora Fairfax le ha detto di andar via, ma ella invece s'è messa accanto al fuoco, e dice che non se ne andrà, finché non sarà stata introdotta qui.

— E che cosa vuole? — domandò la signora Eshton.

— Dire la sorte, e ha giurato che lo farà.

— Com'è? — domandarono le ragazze Eshton.

— Oh! orribilmente vecchia e brutta, signorine; nera come la fuliggine.

— È dunque una vera strega! — esclamò Federico Lynn, — fatela entrare.

— Certo, — rispose l'altro Lynn, — sarebbe un peccato di rinunziare a questo piacere.

— Ma, cari figliuoli, che cosa dite? — esclamò lady Lynn.

— Non sopporterò una cosa simile, — aggiunse lady Ingram.

— Davvero, mamma? — eppure bisogna che tu la sopporti, — disse Bianca con la sua voce imperiosa, volgendo il panchetto del pianoforte. — Sono curiosa di sentirmi dire la sorte; Sam, fate entrare la vecchia.

— Ma, Bianca cara! pensate....

— So tutto quello che volete dirmi, ma voglio essere ubbidita. Via, Sam, sbrigatevi.

— Sì, sì, fatela entrare, ci divertiremo, — dissero in coro tutti i giovani. Il servo esitò un momento.

— Pare tanto rozza, — disse.

— Andate! — ordinò Bianca, e Sam uscì. Subito la conversazione fecesi animata e tutti scherzavano, quando Sam tornò dicendo:

— Ora non vuole venire; dice che non è la sua missione quella di mostrarsi a un gregge volgare (sono le sue parole). Vuole esser condotta in una stanza separata, ove quelli che vorranno consultarla andranno uno alla volta.

— Vedete, mia regale Bianca, essa diventa sempre più esigente. Siate ragionevole, angiolo mio, e....

— Fatela entrare nella biblioteca, — ordinò imperiosamente il bell'angelo. — Non è neppur la mia missione d'interrogarla davanti a un vil gregge. C'è fuoco nella biblioteca?

— Sì, signora, ma quella donna ha l'aria così intrattabile!

— Cessate il vostro chiacchierìo stupido e ubbidite.

Sam uscì, e il mistero, l'attesa produssero in tutti gli animi una specie di fermento.

— È pronta ora, — disse il servo entrando, — e vuol sapere chi è la prima persona che andrà da lei.

— Credo che farei bene di dare un'occhiatina a quella strega prima che le signore la interroghino, — disse il colonnello Dent — Avvertitela che un signore la interrogherà.

Sam portò l'imbasciata e tornò subito.

— Non vuol ricevere signori, — diss'egli, — e non importa che si disturbino. Vuol parlare soltanto con le signore giovani e non maritate — aggiunse con un sorriso.

— Perbacco, ha gusto! — esclamò Enrico Lynn. Bianca si alzò solennemente e disse:

— Andrò la prima.

— Aspettate, riflettete, angiolo mio! — esclamò la madre.

Bianca passò in silenzio dinanzi alla madre, oltrepassò la porta e la sentimmo entrare nella biblioteca.

All'uscita di lei tenne dietro un certo silenzio. Lady Ingram pensò che le conveniva di giunger le mani e lo fece; Maria disse che non sarebbe andata dalla strega; Amy e Luisa ridevano piano e parevano un poco sgomente.

Passò un quarto d'ora senza che si sentisse aprire la porta della biblioteca. Finalmente Bianca tornò dalla sala da pranzo.

Avrebbe riso, avrebbe preso quell'avventura in burla? Tutti gli occhi si fissarono su di lei con curiosità ed ella rispose a quegli sguardi con una occhiata fredda; non era né allegra, né agitata, e si avanzò maestosamente verso il suo posto, sedendosi in silenzio.

— Ebbene, Bianca? — domandò lord Ingram.

— Che cosa vi ha detto, sorella? — chiese Maria.

— Che cosa ve ne pare? È una vera strega? — domandarono le signorine Eshton.

— Miei cari, — rispose Bianca, — non mi opprimete con tante domande! La vostra curiosità e la vostra credulità sono facilmente eccitate, e dalla importanza che attribuite a questo fatto si direbbe che avessimo in casa un genio sapiente, amico del diavolo. Ho veduto soltanto una zingara vagabonda, che ha studiata la chiromanzia; mi ha detto quello che dice tutta quella gente, ma la mia fantasia è paga e credo che il signor Eshton farà bene di farla arrestare domani.

La signorina Ingram prese un libro e si mise a leggere, tagliando corto così a tutte le domande.

L'esaminai per un quarto d'ora, e in tutto quel tempo ella non volse neppure una pagina del libro; il viso di lei si faceva cupo ed esprimeva il malcontento e il dispetto.

Non era certo stata lusingata da quello che aveva udito, e vedendola silenziosa e indispettita capii che, nonostante la indifferenza che aveva simulata, dava una grande importanza alle rivelazioni della zingara.

Maria Ingram e le due sorelle Eshton dichiararono che non avrebbero osato di andar sole, eppure desideravano di vedere la strega.

Allora furono aperte le trattative con l'intermediario di Sam, e questi andò e tornò tante volte per portare e riferire imbasciate, che doveva avere le gambe rotte.

Finalmente, dopo molte trattative, la rigorosa sibilla permise alle tre ragazze di andare insieme. La loro visita non fu così tranquilla come quella di Bianca.

Ogni tanto si sentivano delle risate e dei piccoli gridi.

Dopo venti minuti giunsero in sala correndo ed esclamando:

— Non dev'essere gran che di buono! Ci ha detto tante cose! sa tutto quanto ci concerne.

Fu chiesto loro di spiegarsi meglio, ed esse dichiararono che la strega aveva detto loro tutto quello che avevano fatto e detto quando erano bambine, che aveva descritti i gingilli e i libri che avevano nei salottini a casa, e i ricordi dati ai loro amici.

Affermarono pure che la strega conosceva anche i loro pensieri ed aveva mormorato all'orecchio di ciascuna il nome della persona cui volevano più bene.

Qui i giovani chiesero più ampie spiegazioni su questo punto, ma le ragazze non fecero altro che arrossire, balbettare e sorridere; le mamme ripetevano che avrebbero fatto meglio a non andare dalla strega; i vecchi signori ridevano e i giovani facevano sempre più ressa attorno alle signorine.

In mezzo a quel tumulto, e mentre io ero occupata a guardare gli attori principali, qualcuno mi dette nel gomito; mi volsi e vidi Sam.

— La strega dice che in sala vi è una signorina alla quale non ha ancora parlato, e giura che non se ne andrà prima di averla veduta. Ho pensato che doveva trattarsi di voi; che cosa debbo dirle?

— Vado, — risposi.

Ero contenta di poter appagare alfine la mia curiosità, che era così spesso eccitata. Uscii senza che nessuno mi vedesse.

— Se lo desiderate, signorina, — mi disse Sam, — posso aspettare nel vestibolo, nel caso che aveste paura; basterebbe che mi chiamaste e verrei subito.

— No, Sam, tornate in cucina, non ho punto paura.

Ed era vero; non mi pungeva altro che la curiosità.