«Vedi che l'ho salvato». Non era un altro di quei sogni in cui ella s'era spesso smarrita! Egli era realmente lì. E pure Lucia tremava, e una vaga, una grave paura le incombeva sul cuore. Tutta l'aria intorno era così pesante e oscura, la folla era così tristemente vendicativa e incostante, si mandavano così spesso a morire degli innocenti per un vago sospetto o per una nera malvagità, era così impossibile dimenticare che tanti altri come il marito senza alcuna colpa e così amati dai loro cari, come lui da lei, soggiacevano al fato al quale egli era stato strappato, ch'ella non si sentiva il cuore così alleviato come avrebbe dovuto essere. Cominciavan già a cadere le ombre del pomeriggio invernale, e per le vie strepitavano le terribili carrette. Ella le seguiva in ispirito, cercando il marito fra i condannati; e poi s'aggrappava a lui in carne e ossa, più tremebonda. Il padre, che cercava di rallegrarla, mostrava una pietosa superiorità, strana a contemplare, sulla debolezza della figliuola. Non più soffitta, non più lavoro da calzolaio, non più Centocinque, Torre del Nord, ora! Egli aveva fatto ciò che s'era proposto, mantenendo la sua promessa e salvando Carlo. Che tutti fidassero in lui. Il loro trattamento familiare era frugalissimo, non solo perchè era il modo migliore di salvaguardarsi la vita, non offendendo così la miseria popolare, ma anche perchè non erano ricchi, e Carlo, nel tempo della sua prigionia, aveva dovuto pagar molto il suo scarso cibo, pagar per la guardia e per il mantenimento dei prigionieri più poveri. Parte per questa ragione, e parte per evitare una spia in casa, non tenevano alcuna persona di servizio: il cittadino e la cittadina che facevano da portinai all'ingresso del cortile, sbrigavan loro qualche faccenda; e Jerry (lasciato quasi completamente a loro dal signor Lorry) era divenuto il loro quotidiano provveditore e rimaneva a dormire in casa ogni sera. Era un ordine della repubblica una e indivisibile della libertà, dell'eguaglianza, della fraternità o della morte, che sull'uscio o sullo stipite d'ogni casa, il nome di tutti gl'inquilini dovesse esser leggibilmente scritto in lettere d'una certa dimensione, a una conveniente altezza dal suolo. Il nome del signor Jerry Cruncher, perciò abbelliva debitamente la parte inferiore dello stipite; e, nell'ora che le ombre pomeridiane si fecero più dense, comparve lo stesso proprietario di quel nome, il quale aveva finito appunto di assistere un pittore incaricato dal dottor Manette di aggiungere alla lista il nome di Carlo Evrémonde detto Darnay. Nel terrore generale e nella sfiducia di quel tempo, tutte le più innocue abitudini familiari s'erano mutate. Nella piccola famiglia del dottore, come in molte altre, quel che serviva al consumo quotidiano si comprava sera per sera in piccole quantità e in diverse bottegucce. Era desiderio generale di evitare di farsi notare e di dare il meno possibile occasione a chiacchiere e a invidie. Già da alcuni mesi, le compere erano affidate alla signorina Pross e al signor Cruncher: la prima portava il denaro, l'ultimo la sporta. Tutte le sere verso l'ora che s'accendevano i fanali, si muovevano per la loro spedizione, e facevano e riportavano a casa le provviste necessarie. La signorina, per la sua lunga convivenza con la famiglia francese, avrebbe potuto conoscere, volendo, tanto francese, quanto sapeva d'inglese, ma ella non se n'era curata mai: per conseguenza di quella «sciocchezza» (come si compiaceva di chiamare il francese) non ne sapeva più del signor Cruncher. Il suo metodo per la spesa era di piombare con un nome sul capo d'un bottegaio, senza alcuna introduzione sul genere di un oggetto, e se mai capitava che quello non fosse il nome di ciò che le occorreva, di guardare in giro cercandolo, d'impadronirsene, e di tenerselo bene stretto, finchè il mercato non fosse conchiuso. Conchiudeva sempre l'affare, tenendo in alto, come indicazione del prezzo giusto, un dito meno di quelli che levava il mercante, qualunque fosse il loro numero. — Ora, signor Cruncher, — disse la signorina Pross, con gli occhi rossi di felicità, — se siete pronto, io son qui. Jerry si dichiarò con voce rauca a disposizione della signorina Pross. Da lungo tempo aveva perduto tutta la sua ruggine, ma nulla avrebbe potuto abbattere la sua chioma irta. — Occorre un monte di cose, — disse la signorina Pross, — e non c'è da perder tempo. Fra l'altro, abbiamo bisogno di vino. Queste teste rosse staranno facendo dei bei brindisi, dovunque andremo a comprarlo. — Credo che per voi sarà lo stesso, signorina, — ribattè Jerry — se brindano alla vostra salute o a quella di Farfanicchio. — Chi sarebbe? — disse la signorina Pross. Il signor Cruncher spiegò, con qualche diffidenza, che intendeva il Maligno. — Ah, — disse la signorina Pross, — non occorre un interprete per sapere chi intende questa gente. Essi non hanno che un'adorazione, l'assassinio e la malvagità. — Zitta, cara! Per carità, per carità, stai attenta! — esclamò Lucia. — Sì, sì, sì, starò attenta, — disse la signorina Pross; — ma, a dirla fra noi, spero che fuori non ci sarà nessuno che vorrà abbracciarci e soffocarci con la puzza di cipolla e di tabacco. Ora, tesoro mio, non ti muovere da questo cantuccio di focolare, finchè non ritorno. Sta' accanto al tuo caro marito che hai riconquistato, e non ti muovere da come stai ora, con la testa sulle sue spalle, finchè non mi rivedi. Posso domandare una cosa, dottor Manette, prima di andare? — Credo che vi potete prender questa libertà, — rispose il dottore, sorridendo. — Per amor di Dio, non parlate di libertà; ne abbiamo proprio abbastanza, — disse la signorina Pross. — Zitta, cara! Di nuovo? — disse Lucia, a mo' di rimostranza. — Bene, diletta mia, — disse la signorina Pross, scotendo energicamente la testa, — se lo vuoi sapere, io sono suddita di sua graziosa maestà re Giorgio Terzo; — la signorina Pross s'inchinò a quel nome, — e quindi la mia massima è, che sia maledetta la loro politica, che vadano al diavolo le loro malvage mene, e salute al nostro Re. Il signor Cruncher, in un trasporto di lealismo, ripetè mormorando le parole della signorina Pross, come se fosse in chiesa. — Son lieta che ci sia in voi tanto spirito inglese, ma non vorrei che foste così infreddato, — disse la signorina Pross, approvandolo. — Ma la mia domanda, dottor Manette. V'è, — era costume della brava donna di fingere di pigliar leggermente ciò che angosciava tutti, e di parlarne così per caso, — v'è qualche speranza di potercene andare da questa città? — Non ancora. Sarebbe pericoloso per Carlo. — Ah! eh! ehm! — fece la signorina Pross, reprimendo un sospiro, e guardando la chioma della sua diletta al riflesso del focolare; — allora dobbiamo aver pazienza d'aspettare: ecco tutto. Dobbiamo tener alta la testa e combatter sotto sotto, come soleva dire mio fratello Salomone. Su, signor Cruncher!... Non ti muovere, tesoro. Essi uscirono, lasciando Lucia, il marito, il padre e la figliuola accanto a un focolare scoppiettante. Il signor Lorry era atteso subito di ritorno dalla banca. La signorina Pross aveva acceso la lampada, ma l'aveva messa da parte in un cantuccio, perchè la famiglia potesse godersi indisturbata il chiarore del fuoco. Lucietta sedeva accanto al nonno, aggrappandogli con le braccia al collo; e lui, con un tono che non era molto più forte d'un bisbiglio, cominciò a narrarle la storia d'una grande e possente fata che aveva aperto il muro d'una prigione, facendone uscire un prigioniero che una volta le aveva reso un servizio. Tutto era tacito e cheto, e Lucia si sentiva più a suo agio che non fosse mai stata. — Che cosa è mai? — ella esclamò, improvvisamente. — Mia cara! — disse il padre, interrompendo la fiaba, e mettendo una mano su quelle di lei, — sappiti dominare. In che stato d'eccitazione sei! La minima cosa... nulla... ti scuote. Tu, la figlia di tuo padre! — M'è parso, padre, — disse Lucia, scusandosi, col viso pallido e con la voce stentata, — d'udir dei passi estranei per le scale. — Amor mio, la scala è più silenziosa della morte. Mentre egli diceva così, fu battuto un colpo alla porta. — Oh padre, padre! Che può essere! Nascondi Carlo. Salvalo. — Figlia mia, — disse il dottore, levandosi, e mettendole la mano su una spalla, — l'ho salvato. Che significa questa debolezza, cara? Lasciami andare alla porta. Prese in mano la lampada, traversò le due stanze verso l'uscio, ed aprì. Un rude scalpiccio sul pavimento, e quattro uomini rudi dal berretto rosso, armati di sciabole e di pistole, entrarono nella stanza. — Il cittadino Evrémonde, detto Darnay? — disse il primo. — Chi lo cerca? — rispose Darnay. — Lo cerco io. Lo cerchiamo noi. Io vi conosco, Evrémonde; v'ho visto stamane innanzi al tribunale. Voi siete di nuovo prigioniero della repubblica. I quattro lo circondarono, mentre la moglie e la bambina gli si aggrappavano. — Ditemi perchè e come son di nuovo prigioniero? — Basterà che torniate dritto alla Conciergerie, e domani lo saprete. Domani dovrete presentarvi al tribunale. Il dottor Manette, diventato di marmo a quella vista, era rimasto con la lampada in mano, come se fosse una statua fatta per quello scopo; si mosse, dopo che furono pronunziate quelle parole, depose la lampada, e mettendosi di fronte a colui che aveva parlato, e prendendolo, con garbo, per il bavero aperto della rozza camicia rossa, disse: — Avete detto di conoscerlo. E me mi conoscete? — Sì, vi conosco, cittadino dottore. — Tutti vi conosciamo, cittadino dottore, — dissero gli altri tre. Li guardò distrattamente in fila, e disse, in tono più basso, dopo una pausa: — Allora alla sua domanda risponderete a me. Come accade una cosa simile? — Cittadino dottore, — disse il primo con riluttanza, - egli è stato denunciato alla sezione di Sant'Antonio. Questo cittadino, — aggiunse indicando il secondo, ch'era entrato, — è di Sant'Antonio. Il cittadino indicato fece un cenno col capo e aggiunse: — Egli è accusato da Sant'Antonio. — Di che? — domandò il dottore. — Cittadino dottore, — disse il primo, con la stessa riluttanza di prima, — non domandate altro. Se la repubblica domanda da voi dei sacrifici, voi, da buon patriota, senza dubbio sarete felice di farli. La repubblica prima di tutto. Il popolo è supremo. Evrémonde, noi abbiamo fretta. — Una parola, — supplicò il dottore. — Volete dirmi chi lo ha denunciato? — È contro la norma, — rispose il primo; — ma potete domandarlo a costui di Sant'Antonio. Il dottore volse gli occhi a colui, che si mosse impacciato, si sfregò un po' la barba, e infine disse: — Bene! Veramente è contro la norma. Ma egli è denunciato... e gravemente... dal cittadino e dalla cittadina Defarge. E da un altro. — Chi altro? — Lo domandate voi, cittadino dottore? — Sì. — Allora, — disse quegli di Sant'Antonio, con uno strano sguardo; — vi sarà risposto domani. Ora, io son muto. |