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Le Due città.  Charles Dickens
Capitolo 13. La persona senza delicatezza
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Se Sydney Carton rifulse mai in qualche parte, certo non rifulse mai in casa del dottor Manette. Per un anno intero vi s'era recato spesso, e vi s'era mostrato sempre lo stesso chiuso e malinconico visitatore. Quelle volte che parlava, parlava, ma la nuvola d'indifferenza che lo avvolgeva tutto con la sua fatale tenebra, di rado, molto di rado era rotta dalla luce entro di lui.

E pure sentiva qualche attaccamento per le vie che circondavano quella casa, e per le insensibili pietre dei loro marciapiedi. Molte notti vagava lì intorno malinconico e cupo, se il vino non gli aveva infuso qualche passeggera letizia; molte tristi albe lo videro gironzare lì intorno solitario e riluttante ad andarsene, mentre i primi raggi del sole rilevavano più chiaramente, facevano balzar meglio le bellezze architettoniche dei campanili e degli alti edifici, forse svegliando nel suo spirito in quell'ora tranquilla qualche sentimento di cose migliori, altrimenti dimenticate e irraggiungibili. Ultimamente, il letto negletto nella corte del Temple, lo aveva visto anche più di rado; e spesso, quando vi si era buttato per pochi minuti, si era levato di nuovo per andare a vagare in quel vicinato.

Un giorno d'agosto, in cui il signor Stryver (dopo aver notificato al suo sciacallo «che ci aveva ripensato, su quella faccenda del matrimonio») aveva trasferito la propria delicatezza nel Devonshire, e in cui la vista e la fragranza dei fiori nel centro di Londra indicavano qualche traccia di bontà ai più cattivi, di salute ai più infermi e di giovinezza ai più vecchi, i piedi di Sydney s'aggiravano ancora su quelle pietre. Dall'essere irresoluti e perplessi, si animarono a un tratto con uno scopo, e, nel perseguimento di quello scopo, lo condussero alla porta del dottore.

Egli fu accompagnato di sopra, e trovò Lucia al suo lavoro, sola. Ella non si era mai trovata a suo agio con lui e lo ricevè con qualche impaccio, mentre gl'indicava una sedia accanto al tavolino. Ma guardandolo in viso, nel primo scambio dei soliti convenevoli, vi osservò un cambiamento.

— Temo che non stiate bene, signor Carton.

— La vita che conduco, signorina, non è propizia alla salute.

— Non è un peccato... scusatemi: ho la domanda sulle labbra e non posso più ritrarla... non è un peccato non condurre una vita migliore?

— Dio sa che è una vergogna.

— Allora perchè non la cambiate?

Guardandolo di nuovo dolcemente, ella fu sorpresa e rattristata a vederlo con gli occhi inumiditi. Nella voce di lui vi erano anche delle lagrime, quando le rispose:

— Oramai è troppo tardi. Non sarò mai migliore di quel che sono. Precipiterò sempre più giù, e sarò peggiore.

Si poggiò con un gomito al tavolino, e si coperse gli occhi con le mani. Il tavolino tremò nel silenzio che seguì.

Ella non lo aveva mai veduto intenerito, e ne fu molto addolorata. Senza guardarla, egli lo sapeva, e disse:

— Vi prego di perdonarmi, signorina Manette. Sono commosso al pensiero di ciò che ho bisogno di dirvi. Volete ascoltarmi?

— Se vi farà del bene, signor Carton, se vi farà più lieto, io ne sarò contentissima.

— Dio vi benedica per la vostra pietà!

Dopo un po' si tolse la mano dagli occhi, e parlò con fermezza.

— Non abbiate timore di udirmi. Non vi ritraete da quello che vi dico. Io sono come uno che è morto giovane. Tutta la mia vita potrebbe essere stata.

— No, signor Carton. Io sono certa che la miglior parte della vostra vita potrebbe ancora essere; sono certa che voi potreste essere molto, molto più degno di voi.

— Dite di voi, signorina Manette, e benchè io sappia altrimenti... benchè nel mistero del mio miserabile cuore sappia altrimenti... non lo dimenticherò mai.

Ella era pallida e tremante. Egli le venne in qualche modo in aiuto con una specie di ferma disperazione, che fece quel colloquio diverso da qualunque altro che si sarebbe potuto tenere.

— Se per voi fosse stato possibile, signorina Manette, ricambiare l'amore dell'uomo che voi vi vedete dinanzi... di questo povero sciagurato che s'è buttato via da sè stesso, di questo ubriacone senza redenzione... egli, nonostante la sua gioia, avrebbe saputo che vi avrebbe trascinato all'infelicità, alla miseria e al pentimento, facendovi precipitare con lui nel fango e nella vergogna. Io so benissimo che non potete avere per me alcun sentimento di tenerezza. Non lo domando. Sono anche contento che sia così.

— Senza di esso, non posso salvarvi signor Carton? Non posso ricondurvi... perdonatemi ancora una volta... a una condotta migliore? Non posso in nessuna maniera compensarvi della vostra confidenza? So che questa è una confidenza, — ella disse modestamente, dopo un po' d'esitazione e con delle sincere lagrime, — che non fareste a nessun altro. Non posso volgerla a vostro vantaggio, signor Carton?

Egli scosse il capo.

— No, signorina Manette, in nessuna maniera. Se avrete la pazienza di ascoltarmi un altro po', tutto quello che voi potete fare per me sarà fatto. Io desidero che sappiate che voi siete stata l'ultimo sogno dell'anima mia. Nel mio precipizio non sono andato tanto in giù che la vista di voi con vostro padre e di questa casa, resa da voi qual è, non abbia ridestato in me delle vecchie immagini che credevo svanite. Dal giorno che vi ho conosciuta, io sono stato turbato da un rimorso che non credevo mi avrebbe più assalito, e ho udito dei bisbigli di vecchie voci, che credevo non avessero più fiato, incoraggiarmi a salire. Ho sentito risorgere in me qualche idea di darmi da fare di nuovo, di cominciare da capo, di riscuotermi dalla pigrizia e dalla sensualità, e di combattere di nuovo la battaglia abbandonata. Un sogno, tutto un sogno, che si dissolve in nulla, e lascia il dormiente dove giaceva addormentato; ma desidero che voi sappiate che è stato ispirato da voi.

— Non ne rimarrà nulla? O signor Carton, pensate un po'. Provate ancora.

— No, signorina Manette; per tutto questo tempo, mi son persuaso d'essere immeritevole. E pure ho avuto la debolezza, e ho ancora la debolezza, di desiderare che sappiate che col vostro dominio mi avete improvvisamente, mucchio di cenere qual sono, trasformato in fuoco... un fuoco, però, nella sua natura inseparabile da me, un fuoco che non ravviva nulla, non illumina nulla, non serve a nessuno e pigramente si consuma.

— Giacchè sono stata così disgraziata, signor Carton, di avervi reso più infelice di quando non mi conoscevate...

— Non dite così, signorina Manette, perchè voi mi avreste salvato, se fosse stato possibile. Non sarete voi la cagione del mio peggioramento.

— Giacchè lo stato del vostro spirito, come voi dite, si può, in ogni modo attribuire a qualche mio influsso... questo è ciò che intendo, se posso chiaramente esprimermi... non posso far nulla per giovarvi? Non ho proprio alcun potere per farvi del bene?

— Il massimo bene che potete farmi ora, signorina Manette, sono venuto a raccoglierlo qui. Che io, per tutto il resto della mia sciagurata vita, porti il ricordo d'aver aperto il mio cuore a voi, l'ultima persona al mondo alla quale l'avrei aperto; e che v'era in me qualcosa che voi potevate deplorare e compiangere.

— Qualcosa che, vi supplico, ancora col massimo fervore e con tutto il cuore, di credere capace di impulsi migliori, signor Carton!

— Supplicatemi di non crederlo più, signorina Manette. Io mi sono provato, e lo so bene. Ma vi sto affliggendo, e m'affretto alla fine. Volete lasciarmi credere, quando ricorderò questo giorno, che l'ultima confidenza della mia vita fu deposta nel vostro petto puro e innocente, e ch'essa vi sta sola e non divisa da nessun altro?

— Se questo vi può consolare, sì.

— Neppure dalla persona che v'è più cara?

— Signor Carton, — ella rispose, dopo una pausa agitata, — il segreto è vostro, non mio; ed io vi prometto di rispettarlo.

— Grazie. E di nuovo, che Iddio vi benedica.

Egli si portò la mano di lei alle labbra, e si mosse verso la porta.

— Non temiate, signorina Manette, che io voglia mai, sia pure con un'unica parola, riannodare questa conversazione. Non vi alluderò più. Se io fossi morto, non ne avreste una sicurezza maggiore. Nell'ora della mia morte, terrò sacra la buona memoria... e ve ne sarò grato e vi benedirò... che la mia ultima confessione l'ho fatta a voi, e che il mio nome, le mie colpe e le mie infelicità furono pietosamente serbate nel vostro cuore. E che il vostro, d'altra parte, possa essere sgombro di cure e felice!

Egli era così dissimile da quel che s'era sempre mostrato, ed era così triste pensare a quanto aveva dilapidato e a quanto ogni giorno lasciava inerte o guastava, che Lucia Manette piangeva dolorosamente per lui che se ne andava.

— Consolatevi, — egli disse, — io non sono degno della vostra pietà, signorina Manette. Fra un paio d'ore la mia triste vita e le mie abitudini che disprezzo, ma alle quali non so resistere, mi renderanno meno degno delle vostre lagrime di qualunque altro vagabondo che va oziando per il mondo. Consolatevi! Ma dentro di me, sarò sempre per voi ciò che sono ora, per quanto esternamente sarò quello che sono stato finora. L'ultima supplica che vi faccio è che voi mi crediate.

— Vi credo, signor Carton.

— La mia ultima supplica è questa... e poi vi libererò da un visitatore col quale so che non avete nulla di comune, e dal quale siete separata da un abisso insormontabile... È inutile dirla, lo so, ma mi viene spontanea dall'anima. Per voi, e per chiunque che v'è caro, io farei qualunque cosa. Se la mia vita si svolgesse in modo da includervi l'occasione o la capacità d'un sacrificio, io farei qualunque sacrificio per voi e per quelli che vi sono cari. Cercate di tenermi nel vostro spirito, nelle vostre ore di quiete, come ardente e sincero in quest'unica cosa. Verrà tempo, e non passerà molto, che si formeranno intorno a voi dei nuovi legami... legami che vi stringeranno più teneramente e saldamente alla casa che voi adornate... i più dolci legami che vi potranno adornare e allietare. O signorina Manette, quando la piccola immagine del viso d'un padre felice guarda nei vostri occhi, quando vedrete la vostra fulgida bellezza rigermogliare di nuovo ai vostri piedi, pensate di tanto in tanto che vi è un uomo che darebbe la vita per mantenere accanto a voi una vita che amate!

Disse «Addio!», disse un ultimo: «Iddio vi benedica!» e se ne andò.